Londra non rinnova la licenza a Uber
La nota applicazione mobile per il trasporto urbano è stata bannata dalla City: la Transport for London (l’autorità che regolamenta i trasporti a Londra, ndr) ha ritirato a Uber la licenza a operare come servizio di trasporto automobilistico privato. “Uber non possiede i requisiti necessari per presentarsi come operatore privato in quanto esistono mancanze che comportano potenziali rischi per la sicurezza”, ha fatto sapere Transport for London con un Tweet.
Uber è finita sotto l’occhio del ciclone per non aver denunciato pubblicamente alcuni reati commessi dai suoi autisti (molestie sessuali, ndr). Inoltre, la società americana è accusata di imporre a quest’ultimi, condizioni di lavoro insostenibili. Dara Khosrowshahi, CEO di Uber dallo scorso agosto, ha pubblicato sul giornale britannico “Evening Standard” una lettera di scuse indirizzata ai suoi clienti, in cui ha ammesso che la società in passato ha commesso degli errori, ma che ha intenzione di ripartire e guardare al futuro.
Sulla vicenda si è espresso anche il sindaco di Londra, Sadiq Khan: “tutte le compagnie operanti a Londra devono rispettare le regole e rispondere ai più alti standard, in particolare per quanto riguarda la sicurezza dei clienti, anche se si tratta di servizio innovativo”. Parole che hanno fatto sicuramente piacere ai tassisti londinesi, che rappresentano una grande fetta di voti, in chiave politica.
Intanto questa vicenda ha letteralmente fatto impazzire il popolo del web, che ha difeso a spada tratta la società della Silicon Valley. Sul sito internet Change.org sono state raccolte 750.000 firme (nei prossimi giorni potrebbero divenire un milione) a difesa dell’app e sui social network è divenuto virale l’hashtag #SaveYourUber. Uber, che vedrà cessare la propria licenza il prossimo 1 ottobre, ha fatto sapere di opporsi alla decisione di TfL attraverso un ricorso. A difendere l’azienda americana ci sarà Dinah Rose, l’avvocatessa che ha rappresentato in passato Julian Assange (fondatore di WikiLeaks, ndr) nella causa di estradizione in Svezia e la News Corporation di Rupert Murdoch nel cosiddetto Tabloidgate.