Too Good To Go, l’app che ogni giorno salva il cibo invenduto
Si è sempre pronti per cucinare un buon piatto, invitare gli amici o provare la specialità della casa in un ottimo ristorante. Ma ti sei mai chiesto il cibo invenduto o che non riesci a consumare che fine faccia?
Sembra solo un modo di dire, eppure ogni giorno, un terzo del cibo prodotto, finisce nella spazzatura. I rifiuti alimentari, al di là dell’aspetto etico, ad oggi, rappresentano il 10% delle emissioni globali di gas effetto serra. Di fatto, il 28% dei terreni agricoli, sono usati per produrre del cibo, che inevitabilmente andrà sprecato.
Le stime europee indicano che un cittadino medio arriva a sprecare 92 chili circa di cibo ogni anno. Non va tralasciato ovviamente il costo finanziario dei rifiuti alimentari, di circa 143 miliardi di euro all’anno in Europa. Da qui l’idea di Too Good To Go, alla cui base c’è l’idea che se uno spreco alimentare prevede un costo economico, anche prevenirlo produrrà dei ricavi economici.
L’app, fondata nel 2015, riuscì a salvare per la prima volta un pasto in un ristorante a Copenaghen. L’idea iniziale era quella di ridurre lo spreco di “cibi da buffet”, ma nel tempo, si arrivò a capire che i pasti sprecati non erano solo quelli provenienti da eventuali feste, arrivando a coinvolgere ed inglobare nel progetto, operatori del settore alimentare a tutti i livelli di vendita, dall’ingrosso fino al dettaglio. L’app Too good to go, ha quindi coinvolto ristoranti, caffè, panifici, hotel e molti altri, senza dimenticare l’obiettivo principale: combattere lo spreco alimentare e sensibilizzare le masse per contrastare insieme gli sprechi. L’idea nata in Danimarca, si diffuse in Francia, in Norvegia, nel Regno Unito, fino ad estendersi in molti paesi europei, tra cui l’Italia.
L’idea cardine è senz’altro quella di mettere a contatto i consumatori con le piccole e le grandi attività i cui prodotti inevitabilmente rimarrebbero invenduti e quindi gettati via. Dopo quattro anni, il progetto TGTG, è passato da una singola città a 14 paesi, per un totale di circa 29 milioni di pasti recuperati, grazie ad una fitta rete di utenti che ad oggi conta più di 18 milioni.
L’azienda
Nonostante la diffusione europea, TGTG fa capo comunque ad una struttura globale, ovvero quella di origine. Ogni succursale, possiede un manager aziendale il quale si occuperà di coordinare le operazioni locali. I profitti sono generati essenzialmente grazie a due fonti principali: il pagamento di una sottoscrizione annuale a Too good to go e il pagamento di una piccola commissione all’azienda per ogni pasto venduto. L’app sostanzialmente permette ad ogni esercente che intende aderirvi, di aggiungere i propri prodotti invenduti nella vetrina che sarà disponibile per gli eventuali consumatori. Ciò che si ricava è una soluzione vincente, dove gli esercenti recuperano denaro da prodotti che altrimenti sarebbero stati cestinati, guadagnando nuova clientela attraverso prezzi ragionevoli e ottimi prodotti. D’altra parte, tale pratica rende il consumatore più responsabile, sensibilizzando le masse sull’argomento degli sprechi alimentari, dando un apporto positivo sull’ambiente.
I pilastri dell’app TGTG
La visione dell’azienda è senz’altro una: “raggiungiamo un pianeta dove non esiste alcuno spreco di cibo”. I target sono essenzialmente quattro. L’app si rivolge principalmente alle famiglie, basti pensare, infatti, che circa il 50% dello spreco alimentare avviene in ambiente domestico. L’azienda attraverso le sue azioni e i suoi consigli, intende in qualche maniera ristabilire e spiegare il valore essenziale del cibo, in un mondo dove molta gente non ne ha. Il secondo interlocutore, sono le imprese, per andare al di là della semplice vendita al dettaglio, prevenendo gli sprechi partendo dalla filiera agroalimentare. Anche la scuola, gioca un ruolo essenziale, per tgtg, infatti, attraverso gli ambienti educativi, si otterranno un domani, adulti maggiormente responsabili e sensibili su che impatto abbia lo spreco alimentare. Come ultimo interlocutore, troviamo le istituzioni pubbliche: l’azienda, infatti, intende collaborare con gli amministratori per assicurarsi che non vi siano vuoti normativi sullo spreco alimentare.
Come funziona in breve l’app
Dopo aver installato l’app, l’utente avrà a disposizione una serie di pasti disponibili nelle vicinanze. Una volta effettuata la scelta, all’utente sarà inviata una ricevuta, grazie alla quale, recandosi nel negozio scelto, sarà possibile ritirare il pasto. Di grande impatto, è senz’altro la “magic bag”, il cui costo varia dai 2 ai 5 euro, contenente un pasto a sorpresa del valore economico che va dai 10 ai 15 euro. In questa maniera, oltre l’effetto sorpresa, si acquista del cibo di un valore tre volte superiore al costo che si è sostenuto. Particolare attenzione anche per ciò che concerne l’imballaggio, se l’app intende infatti, ridurre lo spreco alimentare, vuole anche dare man forte alle problematiche ambientali, di fatto, la compagnia incoraggia e suggerisce che i venditori permettano ai clienti di portare i propri contenitori, anche se tale green solution dipende dal ristorante e dal pasto che si è scelto. Nel caso l’imballaggio debba essere ad opera del ristoratore, Too Good to go, garantisce imballaggi fatti con carta kraft (carta riciclata e riciclabile al 100%).
Lo spreco di cibo in numeri
Sperperare il cibo non è solo una questione etica o economica, sprecarlo, infatti, porta ad un esaurimento considerevole delle risorse naturali, già limitate del nostro pianeta. Lo spreco di cibo ha un costo stimato di circa mille miliardi di euro. Solo in Europa lo spreco alimentare è di circa 88 milioni di tonnellate all’anno co una perdita di circa 143 miliardi di euro.
Nel 2050 secondo le stime, ci sarà un aumento di 2.3 miliardi di persone sul pianeta, tale incremento richiederà un aumento della produzione di alimenti pari al 70% in tutto il mondo.
Gli effetti sul pianeta
Per produrre cibo, occorrono risorse. Tali risorse, impiegate nella produzione di cibo che sarà gettato via, saranno di fatto sprecate senza motivo. Basti pensare che circa il 70% dell’acqua dolce di tutto il mondo, viene utilizzata per la coltivazione dei campi, circa il 25% serve a coltivare cibo che sarà cestinato. Tra le maggiori cause della “water footprint” (impronta idrica), deriva dallo spreco di cibo tra cui carne, cereali e frutta.
Anche il terreno soffre a causa della cosiddetta “agricoltura intensiva”. I campi con tale pratica, sono usati fino allo stremo delle forze, non rimanendo mai incolto, causando una considerevole infertilità del terreno stesso. Di questo passo, si forzeranno i coltivatori nell’uso di fertilizzanti ed elementi sintetici, i quali renderanno i prodotti non certamente sani e buoni come quelli di una volta.
C’è da sottolineare, inoltre, il fine ultimo del cibo gettato via. Gli scarti, infatti, vengono portati in discarica nelle quali subiranno una decomposizione anaerobica, generando i cosiddetti gas serra. La “carbon footprint”, ovvero le emissioni di CO2 nell’atmosfera derivante dallo spreco del cibo, è stata stimata intorno alle 3.3 tonnellate all’anno.
Grossi problemi anche per ciò che concerne il mare. Nel 2050, probabilmente i nostri oceani saranno vuoti a causa di una pesca frenetica, la quale non lascia il tempo agli oceani di ripopolarsi in modo efficace.