STRATEGIA DEL CAMBIAMENTO E CAMBIAMENTO DELLA STRATEGIA
Divergevano due strade in un bosco
ingiallito, e spiacente di non poterle fare
entrambe uno restando, a lungo mi fermai
una di esse finché potevo scrutando
là dove in mezzo agli arbusti svoltava.
Poi presi l’altra, così com’era,
che aveva forse i titoli migliori,
perché era erbosa e non portava segni;
benché, in fondo, il passar della gente
le avesse invero segnate più o meno lo stesso,
perché nessuna in quella mattina mostrava
sui fili d’erba l’impronta nera d’un passo.
Oh, quell’altra lasciavo a un altro giorno!
Pure, sapendo bene che strada porta a strada,
dubitavo se mai sarei tornato.
lo dovrò dire questo con un sospiro
in qualche posto fra molto molto tempo:
Divergevano due strade in un bosco,
ed io… io presi la meno battuta,
e di qui tutta la differenza è venuta.
(Robert Frost, La strada non presa)
La cosa più significativa per esprimere la propria forza, in certe situazioni, sta diventando l’assenza.
Se tu non vai in un certo luogo e ti stanno aspettando parleranno di te. Tenteranno di indovinare cosa è accaduto e proveranno a riconquistare la tua presenza.
Lo vedete: al termine di ogni elezione a fronte della crescita dell’assenteismo i commenti sono sempre gli stessi.
Esprimono la necessità di capire, di ascoltare, di cambiare e così via.
Sempre dopo e sempre nello stesso modo francamente stucchevole.
Ma il punto è che oramai tutti quelli che non guidano capiscono l’inconsistenza etica e pratica del sistema di guida e di chi ne è responsabile.
Il punto è che quando le mani sul volante sono troppe e vogliono prendere strade diverse si finisce per forza fuori strada.
Se la democrazia dice che le mani devono essere tante, va bene, ma si deve decidere dove si va, come si fa, e come ci ripartiamo le azioni.
Sono al bar e sto ascoltando in tv i soliti uomini ombra che dicono le stesse cose, un vecchietto vicino a me borbotta qualcosa, incuriosito, gli chiedo cosa stia dicendo.
Mi scruta inizialmente in modo guardingo e poi sorridendo afferma “ a lava ‘ a capa ro ciuccio se perde acqua e sapone”.
Dice che è inutile, tanto lavare la testa al somaro è uno spreco di acqua e di sapone.
Ecco come spesso accade in una frase che risale dalla saggezza acquisita nei secoli, è contenuta l’essenza di tutto.
Questo simpatico personaggio con quell’affermazione inserisce intrecciato il tema del destino, del progetto, del cambiamento.
Lui dice che siamo in una trappola che dura da decenni, dove l’illusione è permanentemente spenta dalla delusione e dove sta prevalendo, in modo che sembra irreversibile, un sentimento di destino dove non ci possono essere progetti per cambiarlo.
Non ci si fida di nessuno, e sembra quasi un bene perché siamo circondati da banditi e da incompetenti litigiosi.
Ma è possibile che abbiamo dato il potere a chi lo abbiamo dato?
Ci sono, per l’amor del cielo, certamente persone intelligenti e a posto che hanno anche progetti di valore, ma la combinazione degli incontri produce dinamiche che portano alla sconfitta e al malessere.
La comunicazione integrativa fa parte di un progetto di valore se questo deve includere chi è in dissenso per essere attuato.
Chi ha il potere non riesce proprio a creare processi prevalenti d’interdipendenza e continua a sviluppare la contro dipendenza che rallenta e blocca tutto.
Si è durissimi con l’altro come soggetto e tutto sommato morbidi verso gli aspetti oggettivi, infatti, si stanno accettando da decenni delle ingiustizie (vitalizi, burocratismi, ecc.) francamente insopportabili.
Spesso il vero obiettivo non è quello di tentare risultati ma di far fuori l’altro.
Non si può avviare il cambiamento se non si considera quello di chi ha il potere di tentarlo e della sua consistenza strategica, non per vincere contro ma per vincere insieme.
La strategia è la “scienza” del comportamento intelligente ossia di un processo che porti verso i risultati desiderati (e desiderabili).
La cosa più insopportabile è quella di fare promesse, non mantenerle e poi tentare di convincerti che il non mantenimento ha una sua ragionevolezza.
Ma scusate: il senso profondo di una promessa non consiste proprio nel fatto che deve essere rispettata nonostante le condizioni avverse? Altrimenti ogni promessa dovrebbe essere formulata in questo modo: “Ti prometto che ti sarò fedele a meno che…” “prometto che farò questo a patto che loro…”.
La promessa crea attese.
L’insoddisfazione o la soddisfazione non sono collegate a quello che accade ma all’attesa creata dalla promessa.
Spesso si promette con intenti manipolativi altre volte per superficialità.
Ma poi andando avanti, dopo aver raccolto buoni premio frustrazione, nei luoghi, nelle imprese, nei rapporti sociali, dopo aver raccolto infine puoi riscuotere il premio.
I modi sono tanti, e spesso drammatici, oppure smetti di sperare e diventi potentissimo con l’assenza.
Chissà quando chi ci guida lo capirà.
Forse lo capisce ma non ha la capacità per cambiare e dare una svolta strategica alle dinamiche della sua guida.
C’è un gap tra quello che riusciamo a capire e la competenza per agire di conseguenza.
Capiamo bene (spesso) ma agiamo male e non perché (spesso) non vogliamo, ma perché non sappiamo fare.
Quindi un leader, che sia politico o d’impresa, che nella complessità non riesce a fare quello che occorre fare e farlo producendo integrazione, non serve a niente.
Anzi.
Bisogna saper scegliere la strada e poi percorrerla, a volta anche tornando indietro per andare avanti.