Storia del deficit sforato
Il tetto del 3% deficit/PIL, dove per deficit pubblico si intende quel fenomeno contabile che si realizza quando, in un esercizio finanziario, le uscite della pubblica amministrazione superano le entrate e per prodotto interno lordo, il valore di tutto quello che produce un paese (rappresenta una grandezza molto importante per valutare lo stato di salute di un’economia, sebbene non comprenda alcuni elementi fondamentali per valutare il livello di benessere, è uno dei più noti parametri del Trattato di Maastricht firmato nel 1992). Il 3% è il rapporto massimo consentito, fra il disavanzo pubblico annuale e il prodotto interno lordo.
Il suo inventore, il francese Abeille, aveva raccontato a suo tempo l’origine del parametro del 3%, partorita nei primi anni ‘80 all’inizio dell’era Mitterand, precisamente dopo la vittoria alle elezioni del 1981 in Francia i socialisti guidati da Mitterand per mantenere le costose promesse elettorali avevano portato il deficit da 50 a 95 miliardi di franchi. Per gestire la situazione, Mitterrand incaricò Pierre Bilger (a quel tempo vice direttore del dipartimento del Bilancio al ministero delle Finanze) di implementare una regola per evitare spese pubbliche all’impazzata. Bilger contattò due giovani esperti che avevano una formazione economica e matematica all’Ensae: Roland de Villepin, un cugino del futuro primo ministro Dominique de Villepin e Guy Abeille. Sarà quest’ultimo ad elaborare il paletto del 3% sul Pil.
“Aujourd’hui en France – Le Parisien” rivela in un virgolettato di Abeille: «Abbiamo stabilito la cifra del 3% in meno di un’ora. È nata su un tavolo, senza alcuna riflessione teorica. Mitterrand aveva bisogno di una regola facile da opporre ai ministri che si presentavano nel suo ufficio a chiedere denaro […]. Avevamo bisogno di qualcosa di semplice. Tre per cento? È un buon numero, un numero storico che fa pensare alla trinità»”.
Nel 2003, la Commissione europea contestò alla Francia e alla Germania di avere sforato i limiti del deficit, ma l’Italia e il Regno Unito sostenettero quella manovra e il 25 novembre in una riunione dei Ministri delle Finanze con una votazione, Francia e Germania furono salavate dalla procedura d’infrazione. La decisione venne poi ratificata dall’Ecofin, che si accontentò dell’impegno a mettere in ordine i conti entro il 2005.
Con l’avvento della crisi finanziaria ed economica, poi, le norme sul bilancio sono state infrante regolarmente.
Secondo un’elaborazione effettuata dall’Ufficio Studi della Cieg, nel 2016 tra i 28 Paesi che compongono l’Unione europea ben 16 Stati non hanno rispettato le disposizioni previste dai due principali criteri di convergenza. Per altro, tra i dodici Paesi virtuosi si tratta in massima parte di realtà di piccola dimensione: Malta, Slovacchia, Lituania, Lettonia, Lussemburgo, Bulgaria ed Estonia.
Tra il 2009 e il 2016, solo la Svezia, l’Estonia ed il Lussemburgo non hanno mai sforato il parametro del 3% del rapporto deficit/PIL; mentre Spagna, Regno Unito e Francia lo hanno fatto ogni anno; Grecia, Croazia e Portogallo sette volte su otto. L’Italia, invece, lo ha fatto in tre occasioni e mantenendo un’incidenza percentuale media del disavanzo pubblico al -3.3: contro il -7.9 della Spagna, il -6.6 del Regno Unito e il -4.8 della Francia.
Nel 2017 invece, il rapporto più basso tra debito pubblico e PIL è stato registrato in Estonia, (9%), Lussemburgo (23%), Bulgaria (25.4%) e Repubblica Ceca (34.6%). Quindici paesi, tra gli stati membri, hanno registrato indici di debito pubblico sopra il 60% con il record toccato in Grecia (178.6%), in Italia (131.8%), in Portogallo (125.7%) in Spagna (98.3%) e in Francia (97%).
Quest’anno in Europa provano a sforare oltre l’Italia, anche Francia, Spagna e Grecia.