Sibilla Barbieri e il diritto mancato al fine vita
In Italia l’incertezza del diritto impedisce agli individui di autodeterminare gli ultimi istanti della propria vita
Come è stato ampiamente riportato dalla cronache, Sibilla Barbieri, nota regista e attrice romana, è morta in Svizzera dopo essersi sottoposta alla procedura del suicidio assistito, o meglio, dopo che, come diverse altre persone, è stata costretta a raggiungere con l’aiuto dell’associazione Luca Coscioni -di cui peraltro era consigliera- una clinica svizzera per porre fine con consapevolezza a una vita ormai dimidiata e senza speranza. Sibilla Barbieri, era vittima di un tumore che dal 2013 l’aveva aggredita fino a diventare incurabile e a costringere i medici a sospendere le terapie. Una volta constatato non ci fosse più alcuna possibilità di guarigione e sottoposta solo a cure palliative, ha deciso con determinazione di intraprendere il percorso per il suicidio medicalmente assistito nel rispetto della sentenza 242 del 2019 della Corte costituzionale. La richiesta è stata inviata ad agosto alla Asl competente. Dopo le verifiche effettuate a metà settembre, che però hanno avuto luogo solo dopo una diffida dei legali della donna, l’azienda sanitaria aveva comunicato il suo diniego.
La motivazione è che la Barbieri non possedesse tutti e quattro i requisiti previsti dalla sentenza Cappato-Antoniani della Corte costituzionale per poter accedere legalmente alla morte volontaria assistita. In particolare l’équipe medica ha ritenuto che mancasse il requisito della dipendenza da trattamento di sostegno vitale. Eppure Sibilla Barbieri dipendeva dalla somministrazione di ossigeno e assumeva farmaci per il dolore che, se interrotti, avrebbero portato velocemente a una morte dolorosa. Invece, secondo la commissione aziendale istituita dalla Asl per il caso, la Barbieri non dipendeva da trattamenti di sostegno vitale. Da notare che questa decisione non è stata accompagnata da alcuna relazione medica né dal parere del Comitato etico competente, documenti peraltro richiesti dai legali della regista.
Al contrario, come ha potuto verificare il dottor Mario Riccio, medico di parte, la documentazione medica che Sibilla Barbieri aveva prodotto faceva rilevare come fosse sottoposta a più forme di sostegno vitale. Per questo è stata presentata opposizione al diniego. A cui però non vi è stata nessuna risposta da parte dei dirigenti ASL. Per una macabra ironia, solo venerdì 3 novembre, quando Sibilla Barbieri era già morta, è arrivato il parere del Comitato Etico che conferma la sussistenza dei requisiti indicati dalla Corte costituzionale. Ciò nonostante, dal verbale della Commissione Aziendale si apprende che i dirigenti della Asl non hanno potuto aderire al parere positivo del Comitato Etico in quanto il trattamento di sostegno vitale veniva ritenuto insussistente. Si è arrivati anzi a sostenere che le condizioni della Barbieri non fossero coerenti con le sofferenze fisiche.
Il calvario di Sibilla Barbieri dice bene della condizione dei diritti civili in questo Paese. L’incertezza del diritto, quando non l’arbitrio esercitato con freddo distacco burocratico, impediscono di avere accesso a un fine vita dignitoso e impediscono soprattutto alle persone di autodeterminarsi. Alla mancanza di una legge ha dovuto rimediare la Corte costituzionale rendendo possibile, con una sentenza di incostituzionalità parziale dell’articolo 580 del codice penale, che una persona malata possa accedere al suicidio assistito. Le condizioni prevedono che il soggetto richiedente sia capace di autodeterminarsi, sia affetto da patologia irreversibile, che inoltre la malattia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputi intollerabili e, in ultimo, sia dipendente da trattamenti di sostegno vitale.
Tutto dipende però concretamente dal Servizio Sanitario nazionale che deve effettuare le verifiche e rispondere alle persone malate. La disperante attesa di persone che desiderano porre fine alle loro sofferenze rimane in balìa delle decisioni di ASL e Comitati Etici territorialmente competenti che, per svolgere le loro funzioni di verifica delle condizioni, possono impiegare mesi. Può accadere perfino, ed è accaduto, che la Asl, una volta ammessa la domanda, avvii la procedura ma che non venga consegnato il farmaco o si sostenga di non avere disponibilità di personale medico che segua la procedura.
Quello al suicidio medicalmente assistito è quindi un diritto parcellizzato e reso diversamente agibile nelle venti regioni italiane o, meglio, nelle sue centinaia di Asl. Può accadere anche che una persona che si trovi nella stessa condizione di Sibilla Barbieri possa accedere al suicidio assistito, come è accaduto recentemente in Veneto, mentre la regista romana non ha potuto scegliere di morire a casa propria circondata dall’affetto dei propri cari ed è stata costretta a ricorrere ad un clinica svizzera. Decisione che ha un costo che non tutti evidentemente possono permettersi. E qualcuno, come Fabio Ridolfi, è stato costretto a rinunciare al lungo e faticoso percorso scegliendo la sospensione delle terapie e la morte sotto sedazione profonda con distacco della nutrizione e dell’idratazione.
Quale sia l’ingiustizia e il dolore provocato da questa situazione dovrebbe essere chiaro a tutti, ma così non è. L’Italia infatti è quello strano Paese dove i diritti sono sì riconosciuti, ma applicati a scartamento ridotto. Succede ad esempio con l’aborto e con la possibilità riconosciuta dalla legge 194 relativa all’obiezione di coscienza da parte dei medici. Una opzione che in Italia è diventata maggioritaria tra i medici, ledendo di fatto un diritto garantito alle donne. La stessa cosa accade per il diritto a un fine vita dignitoso.
Esplodono qui tutti i limiti e le contraddizioni di una politica pavida e lontana dalla sensibilità sociale e dalla vita delle persone, incapace di legiferare persino su un diritto ritenuto inalienabile , sia pure a determinate condizioni, dalla Corte costituzionale. Finora solo alcune regioni hanno presentato propri disegni di legge sul fine vira ritenendo di averne la competenza. Attendiamo, non esattamente fiduciosi, ma sostenendo le azioni di disobbedienze civili e di lotta di donne e di uomini o l’operare meritorio di enti come l’Associazione Luca Coscioni, che sia una legge nazionale a rendere possibile il diritto di ogni persona di porre fine alla propria vita, con dignità e senza soffrire.