TRIVELLARE O NON TRIVELLARE? QUESTO E’ IL DILEMMA
Il 17 Aprile si voterà sul quesito voluto da 9 consigli regionali (Basilicata – Marche – Puglia – Sardegna – Veneto – Calabria – Liguria – Campania – Molise).
La domanda che troveremo sulle schede del referendum, avrà più o meno la seguente forma:
“ Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora petrolio? “
Ma prima di entrare nel mondo delle concessioni, facciamo un po’ di luce su tutto ciò che bisogna sapere prima di esprimere il nostro voto, in quanto ci sono in gioco il rapporto tra energia e territorio, e il ruolo dei combustibili fossili.
- Cosa sono i combustibili fossili? Lo dice il termine stesso: sono combustibili, ovvero una sostanza chimica che viene ossidata nel processo di combustione producendo energia termica, derivanti dalla trasformazione di sostanze organiche in forme molecolari ricche di carbonio. Questa trasformazione, detta carbogenesi, si sviluppa in milioni di anni.
In poche parole, i combustibili fossili costituiscono l’accumulo sottoterra di energia.
Ne esistono 3 categorie:
1) Petrolio
2) Carbone
3) Gas naturale.
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Perché il petrolio è così importante? Ormai la nostra economia è fortemente legata al petrolio, chiamato anche l’ oro nero, ed ecco i due motivi principali:
- Il 40% di tutta l’energia primaria mondiale viene dal petrolio;
- Il 65% del petrolio viene usato per produrre carburante.
- Come viene estratto l’oro nero? Il petrolio viene prelevato dal sottosuolo attraverso un insieme di tecniche. La formazione del petrolio è un processo ancora non del tutto conosciuto e da wikipedia possiamo apprendere che: “si ritiene che i composti organici inglobati nei sedimenti in opportune condizioni di pressione e temperatura possano dare luogo alle diverse tipologie di miscele idrocarburi (gas naturale, oli minerali, cere, bitumi); tale processo avviene nelle cosiddette “rocce madri”. Dopo la loro formazione le miscele idrocarburiche tendono a migrare, fino ad accumularsi in particolari ammassi di rocce porose e permeabili che costituiscono la roccia serbatoio (o reservoir).”
Una volta individuata la reservoir di idrocarburi si effettuato delle perforazioni in una sorta di “pozzo esplorativo” attraverso l’utilizzo di appositi impianti di perforazione. Se i risultati confermano la presenza di idrocarburi allora si procederà alla perforazione di altri pozzi.
Ma torniamo al referendum…quest’ultimo deve raggiungere il 50% degli aventi diritto per essere valido.
In Italia, oggi, ci sono 66 concessioni estrattive oltre le 12 miglia marine, ma non tutti sanno che il referendum riguarda soltanto 21 concessioni (1 in Veneto, 2 in Emilia Romagna, 1 nelle Marche, 3 in Puglia, 5 in Calabria, 2 in Basilicata e 7 in Sicilia) le quali, però, si trovano in questo limite.
- Come funzionano le concessioni? Hanno una durata iniziale di 30 anni con possibilità di una prima proroga di 10 anni, una seconda per 5 anni e una terza per altri 5. Al termine si può chiedere una proroga fino all’esaurimento del giacimento.
Se dovesse vincere il sì, gli impianti dovranno chiudere tra circa 5-10 anni, ma il referendum non eliminerà la nascita di nuove trivellazioni oltre le 12 miglia. La vittoria del sì impedirà le trivellazioni degli impianti già presenti.
VOTARE SI al Referendum
Secondo i vari comitati “No-Triv”, appoggiati dalle nove regioni che hanno promosso il referendum e da diverse associazioni ambientaliste come il WWF e Greenpeace, le trivellazioni andrebbero fermate per evitare rischi ambientali e sanitari e, ovviamente, anche i danni al turismo.
Nel rapporto “Trivelle fuorilegge” di Greenpeace, sono presenti i dati ministeriali sull’inquinamento generato dalle trivelle italiane e si evince che: “Laddove esistono limiti di legge per la concentrazione di inquinanti, questi sono spesso superati dai sedimenti circostanti le trivelle. Pur con qualche oscillazione nei risultati, questa situazione si mantiene sostanzialmente costante di anno in anno.”
Secondo i calcoli di Legambiente, elaborati su dati del ministero dello Sviluppo economico, le piattaforme soggette a referendum coprono meno dell’1% del fabbisogno nazionale di petrolio e il 3% di quello di gas. Se le riserve marine di petrolio venissero usate per coprire l’intero fabbisogno nazionale, durerebbero meno di due mesi.
Per quanto concerne il turismo basti pensare che le trivelle mettono a rischio la vera ricchezza del Paese: il turismo contribuisce ogni anno a circa il 10% del Pil nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato di 160 miliardi di euro; la pesca, che produce il 2,5% del Pil e dà lavoro a quasi 350.000 persone; il patrimonio culturale, che vale il 5,4% del Pil e dà lavoro a 1 milione e 400.000 persone.
VOTARE NO al Referendum
I sostenitori del no, combattono la loro battaglia affermando che l’estrazione di gas e petrolio offshore è un modo sicuro di limitare l’inquinamento. C’è un controllo costante dell’Ispra, dell’Istituto Nazionale di geofisica, di quello di geologia e di quello di oceanografia. C’è il controllo delle Capitanerie di porto, delle Usl e delle Asl nonché quello dell’Istituto superiore di Sanità e dei ministeri competenti. Mai sono stati segnalati incidenti o pericoli di un qualche rilievo. Il gas non danneggia l’ambiente, le piattaforme sono aree di ripopolamento ittico.
L’Italia estrae sul suo territorio circa il 10% del gas e del petrolio che utilizza, e questa produzione ha evitato il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere negli ultimi anni.
Inoltre, migliaia di persone lavorano nel settore e la fine delle concessione comporterebbe la fine di molti posti di lavoro.
E LA DIFESA DEL CLIMA?
Le ragioni del sì: alla conferenza sul clima di Parigi, 194 Paesi si sono impegnati a mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2 gradi. Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile un taglio radicale e rapido dell’uso dei combustibili fossili. Per evitare e soprattutto per prevenire disastri naturali come alluvioni, uragani e siccità bisognerà far restare sotto terra circa i due terzi delle riserve di combustibili fossili.
Le ragioni del no: il futuro sarà quasi sicuramente delle rinnovabili, ma al momento la loro affidabilità è limitata in quanto sole, acqua e vento non sono elementi che possiamo “comandare” quindi al momento non siamo in grado di prevedere quanta energia elettrica sarà prodotta dal fotovoltaico, dall’eolico o dalle centrali idroelettriche. Quindi, senza i combustibili fossili, non possiamo programmare liberamente i nostri consumi, come siamo abituati.
Ora, tocca agli italiani decidere e votare…il referendum è il principale mezzo della democrazia!
Martina Colloca