Perché l’Europa fatica a crescere: analisi e prospettive economiche
Nonostante la ripresa economica globale, l’Europa stenta a tornare ai livelli pre-pandemici. Analizziamo le ragioni della stagnazione economica e le possibili vie d’uscita
(Di Silvestro Delle Cave)
Ogni anno, i dati macroeconomici fotografano lo stato di salute dell’economia, mostrando tendenze di crescita o segnali di crisi. Una domanda chiave emerge: perché l’economia europea non riesce a crescere come quella di altre potenze mondiali?
Negli ultimi cinque anni, la politica economica dell’Unione Europea sembra aver perso direzione, con la Commissione Europea che fatica a definire una strategia coesa. Dopo la crisi pandemica, molti Paesi europei non hanno ancora recuperato il ritmo di crescita pre-COVID. A confronto, mentre gli Stati Uniti sono cresciuti del 2%, l’Europa ha registrato solo uno scarso 0,6%. L’Italia, in linea con la media europea, si attesta allo 0,7%, mentre la Germania è in recessione e la Francia fatica a ottenere il consenso parlamentare per la propria manovra economica.
Italia, Francia e Germania, i tre principali motori industriali dell’Europa, contribuiscono al 40% del PIL dell’Unione. Quando uno di questi Paesi si blocca, l’effetto si riverbera su tutta l’Europa; quando rallentano tutti e tre, la stagnazione è inevitabile.
La Germania, per esempio, vive una crisi della propria manifattura, in parte a causa della storica dipendenza dal gas russo e dalla manodopera cinese, pilastri della politica economica dell’era Merkel. La crisi dei rapporti con questi due partner ha destabilizzato l’economia tedesca, portandola in recessione.
In Francia, la situazione non è molto migliore. La spesa pubblica è aumentata, seguendo la tendenza italiana di crescita del debito pubblico. Tuttavia, il Paese ha mantenuto in funzione le centrali nucleari, evitando così di aggravare la propria dipendenza energetica.
In Italia, nonostante un leggero tasso di crescita rispetto ai suoi vicini, l’industria fatica a ripartire, e il debito pubblico continua a crescere.
A livello europeo, una soluzione potrebbe essere un piano di investimenti per l’industria simile a quello statunitense, che ha messo a disposizione 1.000 miliardi di dollari per attirare imprese sul proprio territorio. Se l’Europa vuole realmente perseguire il Green Deal, dovrebbe sostenere i propri piani con fondi significativi: servono investimenti concreti, non promesse. Con i soli 50 miliardi realmente disponibili su 600 annunciati, il rischio è che l’industria del futuro si sviluppi altrove, come negli Stati Uniti e in Cina.
Nel 2021, la presidente della BCE, Christine Lagarde, non ha colto tempestivamente l’arrivo di una pressione inflazionistica in Europa. Mentre negli Stati Uniti i tassi d’interesse venivano prontamente aumentati, l’Europa restava inerte, e solo successivamente ha rialzato i tassi in modo drastico, anche se l’inflazione europea era stabile al 2%. Oggi, la BCE avverte che un’inflazione al 2% potrebbe portare alla deflazione, suggerendo un’immediata riduzione dei tassi.
L’Europa si trova così bloccata da regolamenti rigidi e ostacolata da Stati membri che agiscono come “paradisi fiscali”, rischiando un’implosione interna se non si attueranno cambiamenti significativi.
Per evitare una crisi profonda, l’Europa deve impegnarsi in investimenti concreti, senza attendere gli Stati Uniti o la Cina, i quali non aspettano altro che aumentare la loro influenza economica nel nostro continente.