Lo spread cala, la crisi di governo è un toccasana per l’economia?
Indice della stabilità economica di un Paese, lo spread è da anni diventata una delle parole chiave della politica europea. Una parola usata, abusata e che spesso atterrisce chi la ascolta ma anche chi la utilizza: sarà il suono un po’ aspro della parola o più probabilmente, la sua portata capace di influenzare la linea economico-finanziaria di un Paese. Da un punto di vista tecnico la parola spread indica la differenza tra due valori e viene comunemente utilizzata per indicare il differenziale esistente fra il rendimento dei titoli di stato decennali italiani, i BTP, e quelli tedeschi, detti Bund. Sin dall’apertura della crisi di governo si è avuto un fenomeno almeno in apparenza strano, andando lo spread prima ad aumentare e poi a ridursi gradualmente fino a toccare, nella giornata del 27 agosto, i 183 punti base. Un’andamento che sembra andare in parallelo con l’andazzo di Piazza Affari che chiude stranamente in positivo.
Per riassumere in modo semplice si potrebbe dire che con il governo in crisi l’economia del nostro Paese sembra andare meglio. Un paradosso in apparenza inspiegabile ma che non sembra un caso unico: già in passato, durante le precedenti crisi di governo, il fenomeno del mercato azionario in positivo si presentava con una frequenza di nove volte su dieci. Un “evento” abituale insomma e che forse proprio per questo si spoglia dalle vesti di “paradosso” per diventare un fenomeno che ha valide ragioni di verificarsi. Ragioni su cui economisti e politologi si sono attentamente soffermati trovando spiegazioni molto chiare.
Un’interpretazione al fenomeno è stata data da Salvatore Graziano di SoldiExpert SCF che sostiene che l’assenza di un governo, o la sua crisi, può essere ritenuta “un toccasana visto che decenni di provvedimenti economici hanno solo provocato fino a oggi un innalzamento del rapporto debito pubblico/Pil ai massimi livelli mondiali e una delle performance dell’economia fra le più deboli di tutti i Paesi occidentali”.
In relazione, invece, al solo fenomeno dello spread, il suo andazzo sin dall’apertura della crisi di governo ha seguito un andamento variabile. Con l’apertura della crisi di governo il valore dello spread è inizialmente salito (arrivando addirittura oltre i 239 punti base) per poi calare. Il dato positivo, però, sembrerebbe attestarsi nel momento in cui l’ipotesi di elezioni anticipate è venuto via via meno fino a rendere sempre più probabile l’ipotesi di un nuovo governo di matrice Movimento 5 Stelle/Partito Democratico. Dunque un esecutivo formato da una coalizione molto più gradita in Europa dove la Lega e il suo euroscetticismo non sono invece ben accolti. L’abbassamento dello spread è infatti anche indice di una nuova fiducia degli investitori nel nostro Paese.
Non tutti gli esperti però concordano in un andamento positivo dello spread da assumere come costante per i futuri eventi relativi alla crisi di governo. Fabio Fois, economista di Barclays, ritiene che l’imprevedibilità sia un rischio di cui tener conto “poiché la probabilità di scenari favorevoli al mercato rispetto a quelli ostili è pressoché uguale in questa fase”.
Insomma la linea tracciata dall’andamento dello spread è sottoposta a forze di matrice economica, politica, finanziaria che rispondono a variazioni minime e che possono velocemente generare un’impennata o un crollo. La crisi di governo non produce di per sé un andamento positivo per lo spread. Ne è prova il suo aumento nel momento in cui la crisi è cominciata. L’andamento positivo è determinato da tanti fattori che, in sostanza, si possono genericamente ricondurre a un buon incastro nel contesto europeo. Non è scorretto dire che lo spread può essere usato come bussola per capire quale direzione politica è più gradita ai mercati. Una bussola la cui lancetta rischia però di girare all’impazzata quando nessuno conosce quale sia il vero nord.