L’ESPERIENZA VALE SE SI USA
“Ho ricostruito molto: e ricostruire significa
collaborare con il tempo
nel suo aspetto di “passato”,
coglierne lo spirito o modificarlo,
protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire;
significa scoprire sotto le pietre,
il segreto delle sorgenti”.
(“MEMORIE DI ADRIANO”, MARGUERITE YURCENAR)
L’esperienza non è ciò che ci succede, ma ciò che facciamo con quello che (ci) succede.
L’esperienza è organizzazione riflessiva e comprensione dei fatti e del comportamento, è generativa di pensieri e azioni che utilizzano il tempo passato per agire meglio, diversamente o nello stesso modo del passato, avendo colto che il cambiamento. Dunque, lo stesso modo non è mai lo stesso.
Il punto è la consapevolezza intelligente.
L’esperienza dovrebbe aumentare la comprensione dinamica degli eventi e di noi stessi dentro quest’osservazione, come facente parte del sistema che stiamo osservando.
L’esperienza che conta racconta, non è memoria cumulativa, produttrice di determinismo e auto conferma a priori.
Voglio dire che non vale fare a lungo una serie di cazzate e poi nobilitarle chiamandole esperienza e magari pretendere di insegnarle.
Il mondo è sempre più piccolo, ma i “territori” di ognuno sono diventati molto più grandi e complessi e questa complessità è permanente, quindi il cambiamento è permanente e deve esserlo pure l’apprendimento dell’esperienza e l’esperienza dell’apprendimento.
Su nulla possiamo dire: ”Ho finito, posso smettere di imparare”.
Certo, salvo che lo scopo non sia proprio quello di non cambiare: si pensi alla burocrazia e alle moltitudini di stupidi che si aggirano ovunque ipnotizzati dalle loro sicurezze dogmatiche e che la testa la scuotono solo per annuire o dissentire senza preoccuparsi di capire (e forse il dramma è che anche se volessero, non potrebbero più capire, l’intelligenza non dipende solo dalla volontà).
Mi accorgo che molto spesso a capo dei sistemi stupidi che presidiano l’inefficienza ci sono soggetti incompetenti di grande esperienza e per questo convalidati a detenere un potere privo di responsabilità di risponderne dell’uso (dell’uso di valore naturalmente non quello della sottrazione che consiste nel mantenere l’inefficienza) e intriso di arroganza.
Incompetenti qualificati che hanno la missione di fare per impedire il fare.
Costoro sono certi di quello che affermano e infallibile è il loro giudizio, perché hanno sperimentato personalmente che le “cose vanno in questo modo”, oppure gli è stato detto da stupidi di grande livello, quindi non hanno bisogno di capire.
Ma non è solo così, ovviamente: l’analisi delle caratteristiche delle imprese di successo nel mondo mostra un punto comune presente, che possiamo considerare paradigmatico, che è la capacità di cambiare attraverso l’esperienza generativa.
Lo sviluppo del business e lo sviluppo delle persone sono due aspetti interdipendenti e il tempo vitale è un tempo di apprendimento delle persone e dei gruppi che agiscono insieme in un luogo comune.
Sto parlando ora con un caro amico che dirige un’impresa storica di grande importanza a livello internazionale, mentre mi narra le vicende che hanno intrecciato i tempi della vita della sua impresa ultracentenaria, colgo questa combinazione vitale intenzionale, dove il passato è ricordo e alimentazione profonda di valori, il presente è progetto e costruzione, il futuro è sogno e ambizione.
L’esperienza è generativa e contiene il senso, anche concreto, di forza affettiva – emotiva che “colora” l’attribuzione dell’esperienza vitale, dove la longevità è alimentazione e non solo protezione del fuoco o raccolta di cartoline ingiallite e di trofei polverosi.
L’alimentazione generativa dell’esperienza richiede movimento, scambio, creazione, cambiamento esprimendo il valore della tradizione (quello che hai vissuto) che diventa valore della traduzione (quello che hai capito e che usi) e quindi continui a vivere in modo vitale e sei capace di raccontarlo ad altri.
La tradizione-traduzione offre alle imprese o ai sistemi in genere, ma anche al soggetto, la chiave grazie alla quale ci si può sottrarre alla banalità, si può resistere alla sottomissione passiva delle mode e innovare in modo selettivo (aggiungere, variare, selezionare, conservare, buttare).
Capisco che l’esperienza di questo mio amico è legata a come lui pensa e vive il tempo e i valori che lo guidano, lui non vuole fare segni sul calendario, ma vuole imprimere segni, che possano essere capiti e usati anche da altri (in-segnare).
Bene, ora fatemi leggere il giornale per raccogliere la solita quotidiana dose di ordinaria stupidità violenta.