Le crisi aprono al cambiamento. Il Fair Working è davvero possibile?
La produttività aumenta con le ore/lavoro? Secondo i dati Istat, gli italiani mediamente lavorano 33 ore a settimana, 3 in più rispetto alla media europea, 4 e 7 in più ai francesi e tedeschi. Tuttavia la produttività italiana è la penultima in Europa.
Per la prima volta dalla prima rivoluzione industriale ci troviamo in un periodo storico dove sempre più persone, soprattutto le giovani generazioni, hanno a cuore l’equilibrio del sistema ambientale nel suo insieme e sempre più di concerto sentono necessaria una riappropriazione del proprio tempo e di quello da dedicare alla propria sfera sociale. Da sole queste necessità non avevano avuto finora il peso necessario a cambiare lo status quo, ma ricorrenti dati di aumento della produttività aziendale a fronte di meno ore lavorative stanno portando, necessità sociali e strategie aziendali, a collimare sempre più anche in virtù dell’emergenza sanitaria globale.
Un cambiamento che avverrà non subito forse e non dovunque, ma in molte realtà lavorative si è già ricorsi ad una riformulazione delle giornate lavorative a fronte delle tipiche 40 ore settimanali: si è pensato sia allo sfalsamento degli orari lavorativi sia all’autogestione delle ore in 4 o 5 giorni lavorativi, il tutto volto alla produttività riscontrata nei giorni full immersion ed al maggior numero di giornate libere che stimolano non poco i consumi nazionali.
Conviene e loro lo sanno
I benefici non si limitano alla sola organizzazione aziendale interna, Microsoft Japan che da tempo aveva adottato la Settimana Corta, nel 2019 ha riscontrato un aumento produttivo del 40%, minori pause -25% ed inoltre un risparmio sui costi elettrici del -23% e di carta/toner -59%. Un piccolo assist all’ecologia e un forte calo dei costi fissi.
Il primo Paese invece a credere concretamente a questo nuovo modello economico/sociale è l’Islanda che da poco ha pubblicato l’analisi sull’applicazione delle 35 ore settimanali: dal 2017 ad oggi su 2.500 lavoratori della capitale Reykjavík, che hanno lavorato, ovviamente senza tagli allo stipendio. I risultati sono entusiasmanti sia in termini di risparmio sui costi per le aziende che per la produttività che risulta incrementata, così come il calo di stress ed ansie dei lavoratori grazie al maggior tempo dedicato a sé stessi ed alla crescita familiare.
Qui trovate i dettagli allo Studio islandese: https://www.scribd.com/document/514503069/Studio-orario-lavoro-Islanda
In Nuova Zelanda dove il dibattito è seriamente aperto a valutare la settimana corta a pari stipendio, ci ha pensato ad aprire le potenzialità dell’idea una fondazione legata a grossi fondi finanziari, la “Perpetual Guardian”,che fin dal 2018 ha applicato la settimana di lavoro di 4 giorni per tutti i 240 dipendenti ed ha creato un’associazione in grado di influenzare la Unilever che di conseguenza ha applicato questo modello agli 81 dipendenti del loro stabilimento neo zelandese, in attesa di poter ampliare la cosa a tutti i suoi 155.000 dipendenti sparsi nel mondo. Invece la Toyota in Svezia ha da tempo turni di 6 ore lavorative giornaliere.
Simili progetti di economia reale ci furono in Francia nel 1997 con Chirac e ci sono tutt’oggi in Finlandia, Svezia, Olanda, Germania finanche la Spagna che propone un progetto di sostegno fiscale alle aziende che vireranno alle 32ore settimanali per un periodo test di 3 anni. L’Italia si spera seguirà l’esempio continentale visto che è da oltre mezzo secolo che non si ha un taglio sugli orari lavorativi nello “stivale”.
Un beneficio sociale enorme nonché di risparmio per le casse del sistema sanitario nazionale, ma soprattutto in termini pratici: il maggior tempo libero aumenta i consumi pro capite di beni e servizi.
Non solo Multinazionali, Ministri ed Associazioni stanno spingendo per questo cambio epocale, ma anche il mondo religioso. Infatti il Papa nel suo libro edito da Piemme “Ritorniamo a sognare”, si è augurato un «part-time per tutti, perché tutti possano anche svolgere lavoro di cura» per le proprie sfere di interesse.
Il tempo per pensare ad altro, soprattutto alla propria crescita, è la questione chiave. Il tempo e le energie sono risorse finite che non possiamo più esaurire soltanto lavorando, anche perché come stiamo vedendo porterebbe ad un calo di motivazione, attenzione, sicurezza, creatività e impegno.
Smart Working
Una delle armi per ottenere questo agognato equilibrio si sta affermando sempre di più, lo Smart Working, in parole povere il lavoro da remoto che già da anni è stato scelto da migliaia di aziende internazionali per i propri dipendenti. Spesso è utilizzato in concerto con orari personalizzati e settimane corte, un’impostazione tipicamente anglosassone che guarda all’obiettivo e non al tempo dedicato come avviene in Italia.
Ma attenzione, anche lo Smart Worker può col tempo incassare troppo stress dovuto al troppo lavoro, anche se a casa propria.
La causa principale è la possibilità di raggiungere il professionista sempre, il cosiddetto “Always On”, pressante soprattutto grazie all’utilizzo di chat, social o mail fino a sera inoltrata anche di sabato sui propri Smartphone ed anche tramite i Calendari digitali visionati continuamente.
La dicotomia meno ore-più produttività pare un trend chiaro, ma un utilizzo eccessivo di strumenti come lo Smart Working che potrebbe portare ad un iper-presenzialismo sarà anche smart ma non fruttuoso di certo, per nessuno. Bisognerà accelerare i dibattiti politici nazionali e continentali al fine di difendere e gestire il futuro mercato del lavoro.
Per uscire dalla crisi serve più lavoro, non meno ed oramai è chiaro che a fronte di una buona gestione aziendale ed al calo di ore settimanali dei dipendenti ci guadagna l’ambiente, il sistema sanitario, le casse statali, la famiglia, l’impresa con un calo dei costi fissi e soprattutto la produttività.
Anche l’Italia si muove?
All’estero come in Italia le aziende fanno da apripista, infatti la Ducati ormai da oltre un quinquennio ha settimane da 30 ore ma pagate come fossero 40 e la produzione anche stavolta, come dimostrato dalle altre aziende, ha visto segnare un +40%.
Ma anche la politica sta provando a seguire gli esempi vincenti di altri paesi, come in Emilia Romagna, dove il giurista Piergiovanni Alleva, attraverso contratti di “solidarietà espansiva” ha proposto una legge regionale in attesa di approvazione. Riduzione da 5 a 4 giorni della settimana lavorativa, così facendo ci sarebbe, secondo Alleva, un nuovo posto per ogni 4 dipendenti. Non è poco, inoltre il contributo regionale per agevolare il meccanismo, non peserebbe neppure così tanto sulle casse della Regione.
La riduzione dell’orario lavorativo insieme allo Smart Working, sarebbero delle grandi opportunità per i molti giovani, e non, che ogni anno lasciano il Sud a favore del Nord. Basterebbe quantomeno l’incremento dello Smart Working per livellare magari le solite statistiche che ci raccontano dei 1,6 milioni di giovani emigrati negli ultimi 25 anni e che tra il 1995 e il 2019 la crescita del Sud è stata del 4,1% contro il 16,4% della media nazionale.
Di certo qualcosa è già cambiato negli USA, come riporta il Bloomberg Businessweek in un articolo del 21 marzo 2021 dove è stato rilevato che in 4 anni le offerte di lavoro con contratti da 4 giorni lavorativi sono triplicate.
In ottica futura ci sarebbe da essere sollevati, dopo i Lockdown infatti la maggior parte dei dipendenti ha manifestato la volontà di avere la maggior parte delle ore/lavoro tramite Smart Working attraverso una maggiore flessibilità contrattuale.
Un brutto sgambetto alla visione di un mondo del lavoro con più Equity lo ha fatto il colosso Google che in futuro vorrebbe pagare i propri dipendenti in smart working in base al costo della vita del luogo dove risiedono. Decisione che se presa solleverebbe dei potenziali squilibri professionali e sociali di difficile risoluzione.
Speriamo sia solo una provocazione e che ci lascino continuare a sperare.