L’Amazzonia brucia e l’UE minaccia sanzioni
Il futuro della foresta pluviale amazzonica potrebbe dipendere anche dalle sanzioni economiche dei vari paesi. Mentre il polmone del pianeta Terra continua a bruciare, il mondo si mobilita e l’Unione Europea minaccia il divieto di importazione di carne brasiliana. Una mossa suggerita dalla Finlandia, stato che attualmente detiene la presidenza di turno dell’Unione Europea e che che metterebbe a repentaglio una grossa fetta di economia del Paese sudamericano. Basti pensare che nel solo 2018 la quantità di carne bovina brasiliana importata in Europa ammonta a circa 120mila tonnellate. Alla misura sanzionatoria si sono mostrati già d’accordo diversi Paesi, pur restando attualmente soltanto un’ipotesi. Anche in Italia Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, si è espresso favorevolmente.
Il provvedimento andrebbe a colpire il Brasile nel punto focale del problema dei roghi: causa principale degli incendi sarebbe infatti la necessità di estendere i terreni destinati all’allevamento. Un andazzo illegale su cui il governo Bolsonaro, sin dalla campagna elettorale, ha mantenuto una linea di repressione molto blanda. Alla minaccia europea, che sembra sostanziarsi sempre di più dopo il G7 della scorsa settimana, il presidente brasiliano Bolsonaro ha replicato: “gli incendi forestali esistono in tutto il mondo e questo non può servire come pretesto per possibili sanzioni internazionali”. Contro la sua politica di iniziale indifferenza anche Papa Francesco che ha dichiarato: “Siamo tutti preoccupati per i vasti incendi che si sono sviluppati in Amazzonia. Preghiamo perché, con l’impegno di tutti, siano domati al più presto. Quel polmone di foreste è vitale per il nostro pianeta”.
Intanto, però, dinanzi alle contromisure si staglia il danno irreparabile: i dati Inpe (Istituto Nazionale di ricerche spaziali) indicano un aumento dell’83% dei roghi rispetto allo scorso anno e un aumento della deforestazione del 278% a luglio. Si stima che ogni minuto venga ridotta in cenere una porzione di foresta pluviale grande quanto due/tre campi di calcio. Ad aggiungersi al problema dei roghi anche la deforestazione, spesso autorizzata dal governo per favorire le ricerche minerarie. Conseguenza: il mondo rischia di perdere il 20% dell’ossigeno prodotto dalla vegetazione amazzonica, per non parlare dei danni alla biodiversità in uno dei punti con maggior varietà di flora e fauna dell’intero pianeta.
Oltre all’Unione Europea anche il resto del mondo, fomentato dall’opinione pubblica, si sta mobilitando. Gli USA hanno offerto un aiuto di tipo militare in supporto all’esercito brasiliano per spegnere i roghi. Gli altri Paesi sudamericani aderenti all’OTCA (Organizzazione del trattato di Cooperazione Amazzonica), stanno chiedendo interventi efficaci, ma Bolsonaro non è in buoni rapporti istituzionali con molti esponenti politici dell’area e anche il mero dialogo risulta talvolta di difficile realizzazione.