La molecola dicamba nei pesticidi del settore agrochimico
L’EPA, l’agenzia americana per la protezione dell’ambiente, ha dato il benestare all’utilizzo della molecola dicamba, molto utilizzata nei pesticidi.
Si tratta di una molecola su cui hanno messo gli occhi i grandi del settore agrochimico per sostituire il glifosato nelle coltivazioni di soia geneticamente modificate e di cotone.
In particolare, sia nel caso del dicamba e sia nel caso del glifosato si parla di erbicidi, ovvero composti chimici che applicati al terreno o fogliame ne distrugge le erbe impedendone la vegetazione.
Gli erbicidi nelle culture agrarie
L’impiego sempre più esteso degli erbicidi provoca effetti indesiderabili sia direttamente a carico delle colture agrarie sia sull’ambiente. Per questo la questione erbicidi provoca un accesso dibattito nel mondo. Sicuramente dietro l’utilizzo di tali sostanze si nasconde troppo spesso e nemmeno senza troppi veli l’interesse di multinazionali sempre piè assetate di denaro. Quadro questo che fa evincere come nel loro utilizzo predominano il potere politico ed economico.
Dopo la querelle che coinvolse a suo tempo il glifosato, adesso è toccato al gemello dicamba prendersi la scena. Nella nomenclatura ufficiale dei composti organici IUPAC, il dicamba è l’acido 3,6-dicloro-2-metossibenzoico, ed è un erbicida ad ampio spettro registrato per la prima volta nel 1967. Il dicamba è un derivato clorurato dell’acido o-anisico, che si presenta dalla polvere bianca, o sotto forma di cristalli fusibili a temperature molto elevate. Per intenderci il meccanismo di azione del dicamba è quello di contrasto alle erbe infestanti a foglia larga annuali e perenni.
Tra Missouri e Arkansas
Questa sostanza in passato è stata osteggiata da due stati americani il Missouri e l’Arkansas che ne hanno bloccato l’uso e la vendita dopo un boom di reclami da parte degli agricoltori, infuriati dell’utilizzo della stessa nei campi vicini.
La stessa EPA con una aveva caldeggiato la sentenza della corte d’appello del giugno scorso. La sentenza decretava lo stop per poi ripensarci a pochi giorni dalle elezioni presidenziali.
Una vittoria per la Bayern
Questo ripensamento è stata una vittoria soprattutto per la Bayern, colosso dell’agrochimica, che unitasi alla Monsanto nel 2018 può rimettere in commercio lo xtendimax, pesticida basato sul dicamba.
Dunque, si è perpetrato un vero e proprio tira e molla, tra il tribunale federale e l’EPA sulla questione dicamba. La decisione del tribunale ha provocato malumori tra gli agricoltori. Questi ultimi avevano acquistato già mesi fa i prodotti chimici a base di dicamba, durante la fase finale della piantumazione delle colture di soia, di cui gli USA sono il secondo più grande esportatore al mondo. Inoltre, per alcuni la decisione della Corte avrebbe potuto creare disuguaglianze all’interno del settore agricolo.
Per tale motivo l’EPA ha dato il via libera alla possibilità di fare uso delle scorte di pesticidi a base di dicamba:
“mitigherà alcune delle devastanti conseguenze economiche dovute alla decisione della corte”, ha dichiarato con una nota sul suo sito.
Da questa decisione potrebbe scaturire quest’anno che circa il 60% della soia statunitense dovrebbe essere prodotta facendo uso di semi di soia utilizzando Xtenddimax, un prodotto Bayer resistente al dicamba. Il mancato uso del pesticida, dunque, avrebbe messo quel tipo di coltura in pericolo.
International Journal of Epidemiology
Il National Institute of Health(USA) ha pubblicato sullo International Journal of Epidemiology il più completo studio epidemiologico sulle correlazioni tra l’esposizione a dicamba e la prevalenza di tumori. I ricercatori hanno preso un campione di riferimento formato da 50.000 agricoltori negli Stati dello Iowa e del North Carolina. Dallo studio è e emerso una spiccata prevalenza di varie forme di cancro, tra cui al fegato e del dotto biliare intraepatico, leucemia linfocitica acuta e cronica e linfoma mantellare negli utilizzatori di dicamba.
Test in vitro, da parte degli stessi eseguiti su colture di linfociti hanno altresì dimostrato la capacità del dicamba di danneggiare il DNA umano. Questo andrebbe a confermare la geno tossicità già a suo tempo riscontrata in precedenti studi sui ratti. Quest’ultimo studio con il glifosato somministrato ai ratti sembrava averne dimostrato la cancerogenicità.
Tuttavia, l’articolo pubblicato nel 2012 è stato in seguito ritrattato per problemi di metodo e i dati non sono mai stati replicati in studi di qualità superiore. Solamente in seguito ad attente analisi delle prove disponibili, lo IARC (agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) di Lione ha classificato il glifosato nel gruppo 2 A, tra i probabili cancerogeni.
Nella stessa categoria sono presenti sostanze come il DDT e gli steroidi anabolizzanti. Ma anche le emissioni da frittura in oli ad alta temperatura, le carni rosse, le bevande bevute molto calde. Inoltre, anche le emissioni prodotte dal fuoco dei camini domestici alimentati a legna o con biomasse
Ulteriori studi
Gli studi epidemiologici terminati nel 2015 hanno evidenziato un possibile lieve aumento del rischio di linfomi non-Hodgkin tra gli agricoltori esposti per lavoro a questa sostanza. Mentre gli studi di laboratorio in cellule isolate hanno dimostrato che la sostanza provoca danni genetici e stress ossidativo.
A livello nazionale si osservano decisioni che vanno dal divieto di vendita ai privati per uso casalingo, come in Olanda, al divieto di commercializzazione della combinazione del glifosato con ammina di sego polietossilata, in Italia, che potrebbe essere all’origine dei problemi di tossicità per l’uomo.
Contrariamente l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura (FAO) hanno condotto un’analisi nel 2015 congiunta. Sono giunti alla conclusione che il glifosato non è probabile che comporti un rischio di cancro per l’uomo come conseguenza dell’esposizione attraverso l’alimentazione.
Il caso del dicamba e del suo predecessore evidenziano un caso di sospetta cancerogenicità non dimostrata nei fatti. Nei confronti di questo problema le istituzioni hanno adottato una certa precauzione. Non vietandone del tutto l’uso ma di stare attenti in attesa di nuovi studi.