Il consumo collaborativo e la Share Economy
“Le cose che possiedi alla fine ti possiedono”, è da questa citazione estrapolata dal film Fight Club, del 1999, che vorrei far partire la mia riflessione in merito alla nascita e alla diffusione della Share Economy e del consumo collaborativo. Ad oggi, ci ritroviamo in una società caratterizzata da consumatori ossessionati da quello che nel linguaggio giornalistico viene definito “iper-consumismo”, vale a dire un consumo esasperato delle risorse e dei beni, fino allo spreco totale degli stessi.
Data per acquisita questa nuova rotta assunta dai mercati del consumo, è bene sottolineare che i consumatori stanno assumendo coscienza di ciò che sta accadendo e di conseguenza stanno reagendo modificando le loro scelte d’acquisto. E’ così che sta mutando dopo secoli il concetto stesso di economia, di ciclo di vita dei prodotti e di obsolescenza. Da un’economia del possesso si sta traslando a quella dell’accesso, e tale processo sottende i valori di fiducia, condivisione e reputazione.
Per comprendere siffatto passaggio è necessario fare un passo indietro e capire le dinamiche scaturenti dal fenomeno in esame.
Obsolescenza sempre più rapida: uno dei motivi della larga diffusione della Share Economy.
Nell’era della crisi economica, ampiamente discussa negli anni dagli economisti e dagli esperti di settore, si evidenzia che i consumatori risentono spesso il peso dell’obsolescenza dei propri prodotti, ormai sempre più legata a tempi brevissimi, e della scarsa capacità di acquisto. In risposta a tale bisogno, in America del Nord, Canada e Nord Europa, nel corso degli ultimi 10 anni, sono sempre più aumentati fenomeni di condivisione di servizi e di beni tra le persone, facilitati dall’accesso rapido a piattaforme web, basti immaginare il Car Sharing nato nel 2000, e numerosi altri esempi citabili come AirBnb, Uber, Netflix.
Un secondo fattore, forse volàno reale del cambiamento, è legato alla rete. La popolazione mondiale si può considerare in una maglia tecnologica che permette a tutti di essere collegati in qualunque momento, bypassando distanze e tempi. Con l’avvento dei Social Network concetti come quello di “condivisone” diventano di uso quotidiano, e, nell’era dei digital native, non si tende più solo a condividere il pensiero, ma bensì interi stili di vita, che di conseguenza influenzano quelle che poi sono le scelte d’acquisto, facilitate ulteriormente dalla possibilità di acquistare tutto con un semplice click.
Infine, l’aumento della popolazione mondiale ha spinto ad una maggiore consapevolezza della necessità di sostenibilità, promossa tramite azioni di altruismo e di collaborazione. Il mercato orientale, se immaginiamo Cina e Giappone ad esempio, da sempre è fondato su un’economia della fiducia e della collaborazione.
L’avvento della tecnologia ha facilitato questo tipo di scambio collaborativo anche nel mondo occidentale: la capacità di crearsi una web reputation e, soprattutto, la possibilità di ricercare quella concernente transazioni o trattative economiche, ha aumentato il fenomeno degli scambi online: si pensi, ad esempio, a quello che oggi viene definito “mercato bartering”. Il consumatore non è più concepito come un soggetto che si limita a soddisfare un proprio bisogno, dunque non è più solo passivo, ma diviene bensì un co – creatore di valore, sia esso fisico, tramite la co-creazione, o reputazionale. Nasce così in America il concetto di “prosumer”. Il consumatore non ricerca più il bene in sé, ma la coincidenza del suo bisogno con quelli di altri consumatori. Nascono le community, persone che condividono bisogni, esigenze e soprattutto esperienze simili. Si instaurano, tramite piattaforme dedicate, rapporti “peer to peer” in cui principali monete di scambio sono la condivisione e la fiducia, tornando addirittura in alcuni casi all’economia del baratto.
Il nuovo concetto di Share Economy: dal possesso all’eccesso dei beni di consumo.
Eccoci giunti al concetto di Share Economy, identificativo di un mondo che non ruota più attorno al possesso dei beni, ma al loro accesso.
Sebbene questo paradigma presenti ampie potenzialità di creare un sistema più equo e sostenibile, vi sono comunque delle zone grigie: la disparità globale sembrerebbe precludere lo sviluppo di tale modello a certe zone geografiche, o comunque evidenzia un notevole rallentamento nella sua diffusione.
In America e nel Nord Europa la filosofia di Share Economy si è diffusa ampiamente nelle discussioni e nella quotidianità della popolazione intorno al 2000; in Italia è un fenomeno comparso solo intorno al 2013, basti pensare all’introduzione del servizio di car sharing “Enjoy”. Infatti, da un’indagine rivolta ai consumatori italiani, è emerso che ben il 41% di essi non conosce il fenomeno, che il 44% ne ha solo sentito parlare senza averlo mai realmente messo in atto, e che solo il restante 15% condivide e pratica tale filosofia economica e di scambio. Nonostante questo lentissimo andamento italiano ad adattarsi alle evoluzioni relative al mercato, va detto che le aziende stanno reagendo in modo propositivo, a dimostrazione di ciò si evidenzia l’aumento negli ultimi 5 anni di numerose partnership tra grandi brand ed il fatto che le organizzazioni forniscono numerose piattaforme volte alla risoluzione di problemi tramite il metodo dello sharing.
In conclusione, si può definire consumo collaborativo quel fenomeno socioeconomico che rappresenta un modello organizzativo alternativo e parallelo alle tradizionali dinamiche di mercato, il cui fulcro principale è l’accessibilità a beni e servizi, specialmente attraverso l’attività di condivisione e di scambio, e che s’innesta sulle pratiche peer to peer emerse dall’aumento della fiducia nel web.
La nascita di un nuovo paradigma sociale.
Si configura così un nuovo paradigma culturale, sociale ed economico, che genera una migliore qualità della vita e rappresenta una diversa concezione di benessere incentrata sulle relazioni, l’accesso e l’esperienza, in luogo dell’accumulazione di beni. Infondo, da sempre le persone hanno condiviso quelli che sono alcuni dei principali servizi come il trasporto, gli stadi sportivi e il cibo. Occorre ora spiegare, ai più miopi, il grande vantaggio della condivisione e della collaborazione legata all’uso dei beni.
A rilevare oggi è la soddisfazione del bisogno in sé e non il mezzo con cui appagarlo.