I rischi dell’automazione
L’automazione del lavoro è un concetto che ha da sempre affascinato economisti, filosofi e scrittori di narrativa. Sembra che proprio in questa prima metà di XXI secolo le società (in particolare quelle più evolute) dovranno fare i conti con i rischi sociali di questa nuova fase nella storia della divisione del lavoro. Secondo Eurostat, già un quarto delle aziende europee ha iniziato il processo di robotizzazione delle strutture produttive; in testa troviamo i paesi scandinavi, in particolar modo la Danimarca. Se l’automazione rappresenta di certo una possibilità per le aziende c’è il rischio che possa creare un’ampia fetta di popolazione tagliata fuori dal mercato del lavoro: la cosiddetta “useless class”.
Dal libro Homo Deus
Lo storico israeliano Yuval Noah Harari nel suo ultimo libro, Homo Deus, ha spiegato come la robotizzazione, insieme allo sviluppo delle intelligenze artificiali, possa determinare una frattura tra una upper class tecnologicamente competente e una gigantesca classe privata dei benefici economici del progresso. Ad oggi si stima che in tutto il mondo tra 75 e 375 milioni di persone potrebbero ritrovarsi fuori dal mercato del lavoro entro il solo 2030.
The European House Ambrosetti
Secondo uno studio di The European House Ambrosetti, in Italia ben 3,2 milioni di posti di lavoro sono a rischio nei prossimi 15 anni, pari al 14,9% degli occupati. Il rischio più alto è quello dei lavoratori senza titolo di studio (21%), con licenza media (18%) e diploma di maturità (16%). La contrazione dei consumi di questo scenario, stimata prima della pandemia da Covid 19, ammontava a circa 9 miliardi di euro, con una ripercussione sul Pil del paese di circa un punto percentuale.
Come cambia con la pandemia
Con la pandemia da coronavirus sia la digitalizzazione che la robotizzazione del lavoro hanno visto un’impressionante accelerazione. Secondo uno studio di Oxford a firma Frey e Osborne, i posti di lavoro a rischio in Italia ammonterebbero al 56,18% del totale. Più ottimista invece il rapporto Censis – Agi, che afferma che la quota di posti a rischio si aggira intorno al 38% (comunque un numero che si avvicina agli 8 milioni totali). La situazione nel Bel Paese è complicata dall’altissima età media, da sempre ostacolo alla modernizzazione della formazione professionale.
La pandemia ha fortemente stimolato l’immissione sul mercato di strumenti robotici per sostituire il lavoro umano. È il caso delle caffetterie robotiche Cafe X installate presso l’aeroporto di San Francisco o del robot Bartender Barsys, controllabile tramite dispositivo android. Se la robotizzazione in precedenza era motivata dal migliore rapporto costi benefici rispetto all’operatore umano, adesso le aziende guardano ai robot per garantirsi “continuità operativa anche in tempi di limitata circolazione delle persone” come affermato dal Sole24Ore.
Le opportunità
D’altro canto, le opportunità, specie nei settori esposti al rischio pandemico sono molto elevate. La digitalizzazione ha portato negli ultimi 15 anni 700.000 nuovi posti di lavoro solo in Italia (l’Internet garantisce oggi il 2% del PIL nazionale). Se il paese fosse in grado di portare avanti un profondo programma di “alfabetizzazione” anche nel campo delle professioni legate al mondo dell’automazione (sviluppo software, sviluppo delle macchine, manutenzione e gestione), sarebbe in grado di ammortizzare e diminuire l’impatto negativo, aumentando al contempo la competitività nei mercati internazionali.