I nodi del voto e il futuro incerto dell’Europa
(Di Raffaele Cimmino) C’è da dire, sulle Europee tenutesi nello scorso week-end, che la grande avanzata delle destre che si paventava da mesi non c’è stata. Beninteso, le destre sono andate assai bene ma i numeri non sono tali da ribaltare gli equilibri consolidati. Quello che risalta è soprattutto la sconfitta dei partiti tradizionali. I grandi sconfitti sono la Spd in Germania e Macron in Francia. Al punto che il presidente francese ha sciolto il parlamento e annunciato nuove elezioni. Un azzardo per non rimanere chiuso in un angolo che rischia di trasformarsi in un cataclisma per la politica francese.
Inoltre, perdono i liberali e perdono i Verdi, mentre aumentano di poco i seggi i popolari. I socialisti reggono sostanzialmente grazie anche al buon risultato del Pd e dei socialisti spagnoli. In sostanza, ci sono ancora i numeri per tenere in piedi la cosiddetta maggioranza Ursula, sostenuta nella scorsa legislatura da popolari, socialisti e liberali. Una maggioranza resa più fragile ma che ora appare più difficile che venga puntellata dalle forze di destra provenienti dai conservatori europei, il gruppo a cui appartiene Fratelli d’Italia, meno che mai da Identità e democrazia, il gruppo di Salvini e Le Pen. Sembra che alla fine la candidatura di Ursula Von dei Leyen, che sembrava subìta anche dal suo gruppo d’origine, i popolari europei, sarà l’unica in grado di catalizzare una nuova maggioranza simile a quella uscente forse rinforzata dai Verdi che sembrano disponibili a entrare nello schieramento a sostegno della peresidente uscente.
Venendo al nostro paese, dalle elezioni escono sostanzialmente due vincitori, al netto dell’ottimo risultato di AVS, che, candidando Ilaria Salis e il neosindaco di Riace, Mimmo Lucano, è riuscita a drenare voti sia dal Pd che soprattutto dal M5S. Da un lato, la Meloni che vince ma certamente non sfonda rimanendo sotto l’asticella simbolica del 30%. Va oltre più rosea aspettativa il Pd di Elly Schlein che non solo supera la soglia psicologica del 20% ma supera anche il 22% raggiunto dal Pd di Zingaretti cinque anni fa. Un risultato che blinda la posizione della segretaria e la rende più forte rispetto alle correnti da cui più di un mugugno iniziava a levarsi in questi mesi, silenziando chi magari aspettava un passo falso alle europee per iniziare a logorarla. Scompaiono Renzi e Calenda, i fratelli coltelli reduci dalla separazione non superano lo sbarramento. Sicuramente sconfitti poi sono anche Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Il primo non solo non supera il 10% ma si vede sia pure di poco superato da Forza Italia, un partito rimesso in carreggiata con abilità dal suo leader Tajani, Salvini è ora ridotto a junior partner della coalizione. La sua posizione resta estremamente debole ed esposta alle azioni degli azionisti di maggioranza, i presidenti delle regioni del Nord, Fedriga e Zaia, che assai poco sembravano apprezzare le ultime mosse del segretario. Il buon successo della candidatura di Vannacci, personaggio controverso che parla a una platea elettorale di estrema destra più che alla base leghista, sembra l’ultima carta in mano a quello che si faceva chiamare “il capitano”.
Non migliore, nel campo dell’opposizione è la posizione di Giuseppe Conte. L’ex presidente del consiglio ha usato il voto proporzionale delle europee per regolare i conti con Elly Schlein non intendendo rinunciare a un ruolo di leadership del centrosinistra. Le cose non potevano andargli in modo peggiore, essendo ritrovato di fronte a un lampante successo del Pd e della sua leader e un pesante ridimensionamento del suo elettorato, che a stento tiene nelle regioni meridionali dove tradizionalmente il M5S raccoglieva messe di voti. Si è persino ipotizzato che Conte si dimettesse, ma pare che faccia fronte ai possibili attacchi modificando lo statuto e ammettendo il terzo mandato, tenendo tranquilli così gli istituzionali.
Ritornando alla premier può dirsi soddisfatta per essersi confermata come leader del partito più forte e capo di un governo uscito rafforzato da un nuovo equilibrio che ridimensiona la Laga. Però non tutto è andato come era nei piani. Riguardo alla possibilità di inserirsi con successo nelle manovre per la formazione della nuova maggioranza del Parlamento europeo, i margini di manovra sembrano essere assai esigui. In questo senso il rapporto con la Von der Leyen, su cui la Meloni molto ha lavorato in questi mesi, non pare possa consentire di andare oltre la trattativa formale per la nomina di un membro italiano della commissione. Il cordone sanitario contro la destra sovranista si è sicuramente indebolito, ma i margini di manovra delle forze tradizionali sono ancora ampi e difficilmente verranno concessi spazi alla destra radicale. A meno che il risultato delle prossime politiche francesi, nel caso assai probabile di vittoria a valanga delle Rassemblement di Marine Le Pen, non provochi ulteriori scossoni al momento non prevedibili ma potenzialmente assai pericolosi.