Gentrificazione, danno o risorsa?
Definita come “trasformazione di un quartiere popolare in zona abitativa di pregio, con conseguente cambiamento della composizione sociale e dei prezzi delle abitazioni”, la gentrificazione è un fenomeno che negli ultimi anni ha talvolta mutato la faccia delle città in cui viviamo e quelle che visitiamo. In realtà non va confusa con la mera riqualificazione e il suo significato, così come affermato da molti sociologi e confermato dal The Guardian, non è spesso univoco.
Il fenomeno è spesso misurato sulla base dell’aumento dei prezzi delle abitazioni o dell’affitto. In realtà tale aumento non è indicativo della gentrificazione, ma è comunque una sua conseguenza. Oltre all’aumento dei prezzi delle case, però, essa porta anche all’apertura di nuovi locali, club, negozi i cui prezzi si adeguano allo stile di vita di chi, in quella parte della città, può permettersi di vivere. I vecchi negozi o adeguano i prezzi al tenore di vita dei nuovi abitanti o, più spesso, chiudono perché non riescono a far fronte alla concorrenza e perdono una consistente fetta dei loro clienti abituali. Quartieri che in passato erano celebri per essere quartieri studenteschi o artistici e dove il costo della vita era relativamente basso, ora si ritrovano ad essere il centro di una movida diversa, mossa spesso non più da un fremito culturale, ma solamente economico.
È il caso di Shoreditch a Londra, del quartiere Isola a Milano, Testaccio e Pigneto a Roma, Brooklyn a New York. Ma ad essere coinvolte sono anche le città più piccole, non più metropoli ma anche città d’arte in cui il “fenomeno” si affianca a un altro, talvolta ad esso correlato, ossia lo spopolamento di aree centrali a favore della creazione di B&B e locali turistici. Così che Firenze, Venezia e più recentemente Bologna si trasformano in musei a cielo aperto dove l’identità popolare si allontana dal centro, si disperde e rischia di scomparire. Città che cessano di essere città. Quartieri che diventano inaccessibili.
I primi casi di gentrificazione sono avvenuti nelle grandi città americane, prima di coinvolgere anche le metropoli europee con una sostanziale differenza. Negli Stati Uniti infatti, esso coinvolgeva soprattutto ghetti dove prima vivevano comunità afroamericane e ispaniche: lì la gentrificazione è stata anche una conseguenza del fenomeno dell’integrazione razziale. In Europa, e in particolare in Italia, i quartieri dove questa metamorfosi si è a poco a poco insediata erano caratterizzati da differenze sociali e non etniche.
Un fenomeno dalle conseguenze molto gravi: basti pensare che a Londra negli ultimi dieci anni i prezzi dell’affitto sono aumentati del 52%. Conseguenza: Londra, così come molte altre città, non sono più luoghi in grado di accogliere la classe media che rischia di scomparire e di trasformare il centro urbano in un luogo per soli ricchi o turisti. Alla base, secondo il quotidiano The Economist, un crescente interesse per la vita urbana che fino alla fine degli anni 80′ era andato invece scemando a favore della vita nelle periferie, ritenuta più tranquilla e sicura rispetto alla vita nelle grandi città. Ma accanto a questa genesi sociale del fenomeno si collocano anche investimenti esteri, costruttori immobiliari, sviluppatori di proprietà, affittuari e la perdita del social housing. Ulteriore conseguenza è di natura architettonica: le case nei quartieri gentrificati sono mutate. Non più villette o appartamenti, ma bi o monolocali (unico tipo di abitazioni che in quel quartiere un appartenente alla classe media può permettersi) oppure appartamenti di lusso.
Le conseguenze, tuttavia, non sono soltanto negative. La gentrificazione permette infatti un risanamento di zone in passato ritenute pericolose o degradate. Le infrastrutture cambiano, i servizi aumentano, il tasso di criminalità diminuisce. Le città diventano più sicure, la qualità di vita aumenta. Il tutto, però, al servizio non degli abitanti precedenti che, semplicemente si spostano in altri quartieri, ancor più periferici, ma a beneficio dei nuovi abitanti.