La felicità fa rumore quando se ne va
La felicità è fuori dalla felicità. Non c’è felicità se non con consapevolezza. Ma la consapevolezza della felicità è infelice, perché sapersi felice è sapere che si sta attraversando la felicità e che si dovrà subito lasciarla. Sapere è uccidere, nella felicità come in tutto.
Fernando Pessoa
Ho cercato molte definizioni sulla felicità ma è difficile trovarne una chiara e convincente. Per me è riconoscibile dal sentimento di dolore che provo quando se ne va e scopro che, quella, non potrà tornare. Seguivo ieri sera “X Factor” e mi ha colpito la canzone scritta e cantata da una sedicenne (Martina Attilli) sulla cherofobia (paura di essere felice): “Come te la spiego la paura di essere felici quando non l’hanno capita nemmeno i miei amici. Mi dicono di stare calma quando serve, mi portano del latte caldo e delle coperte. Ed è proprio quando stanno parlando che vorrei gridare grazie a tutti, ora potete andare, ma resto qui a guardare un film”. Poi ho letto la ricerca del professor Waldinger di Harvard. Quest’ultima presenta i risultati dopo ottant’anni su 724 ragazzini di ogni classe e ceto sociale seguiti anno dopo anno. Sono tali da permettere riflessioni non superficiali e possono dare indicazioni straordinarie su come organizzare la vita. Ma è la conclusione che lascia stupiti: Quello che rende felici gli esseri umani non è la ricchezza, la fama o il possesso dei feticci della modernità, ma è la qualità delle relazioni. Vale soltanto, o soprattutto, questo!
Sembra poco ma è complicatissima la manutenzione delle relazioni, ma rappresenta tutto. La svolta è passare dal PIL all’indice di felicità perché l’essere felici è uno stato d’animo che influenza i comportamenti e questi determinano i risultati. Ovunque: nelle imprese, nelle città, nelle famiglie. Dobbiamo ancora tirare in ballo il tema del potere. Si deve realizzare un’utopia in cui prevalga il pensiero etico- estetico del potere, la fine della burocrazia e dell’ingiustizia della giustizia, capace di inventare il valore dei valori e coltivare le relazioni, diminuendo la sfiducia crescente e la paura di vivere. Sono molti i parametri considerati per stilare la classifica dei paesi nei quali i cittadini sono più felici: le diseguaglianze, la trasparenza della pubblica amministrazione e le politiche sociali, le relazioni umane, ecc. Questi influiscono più del reddito pro capite. Ma quali sono i paesi più felici che possiamo cercare di seguire perché capaci di pensare e progettare la felicità? Il podio spetta alla Finlandia, che è arrivata al primo posto superando la Norvegia (in cima nel 2017). Medaglia di bronzo alla Danimarca seguita da Islanda, Svizzera e Olanda. L’Italia acquista un gradino nella classifica, passando dal 48esimo al 47esimo posto.
Se è vero che probabilmente stare bene è impossibile, bisogna tentare di stare e far stare meglio, e quindi è responsabilità di ognuno cercare i modi per ottenerlo, considerando che è proprio nelle relazioni umane che si trovano i principali motivi di malessere o benessere. Questo vale a livello personale e per chi governa i sistemi sociali, dove le persone vivono, lavorano e s’incontrano, per coloro, quindi, che hanno il potere di influenzare i processi di funzionamento che facilitino le condizioni per stare meglio perché da questo dipende la qualità di quello che facciamo. Il sorriso delle persone che amo è, per me, motivo di felicità così com’è di dolore la sua assenza.