Fase 2, meno donne e più uomini ritornano a lavoro
Dopo una lunga Fase 1, l’Italia si muove a piccoli passi e con l’inizio della tanto attesa Fase 2, c’è chi resta in un forte malcontento. Il Premier Giuseppe Conte ha concesso l’attenzione aprendo le visite ai congiunti. Ma l’aspetto altrettanto importante su cui non è stata posta alcuna attenzione. Sono le misure previste sul ritorno al lavoro che finiranno per penalizzare drammaticamente ancora una volta le donne.
Lunedì 4 maggio sono tornati sul luogo di lavoro il 72% dei lavoratori uomini. Dati basati su affermazioni di Alessandra Casarico professoressa di Scienze delle Finanze dell’Università Bocconi e Salvatore Lattanzio che sta svolgendo un dottorato di ricerca in economia all’Università di Cambridge.
Percentuali alte per gli uomini
Le attività ripartite sono prettamente maschili. La manifattura, le costruzioni e commercio all’ingrosso funzionale legato ad attività come tessile e moda automotive e fabbricazioni di mobili. La Fase 2 è scattata per 4.4 milioni di lavoratori e quelli che resteranno ancora a casa sono 2.7 milioni.
Il 69.6% dei lavoratori non ha mai smesso di recarsi in azienda. Dal 4 maggio il semaforo verde è scattato per il 18.9% del totale. Su 100 addetti bloccati per lockdown da lunedì il 62.2% è tornato a svolgere la propria occupazione. Di questi la stragrande maggioranza sono uomini, circa il 3.3 milioni il 74.8% del totale. E vediamo in minoranza le donne, con 1.1 milioni, il 25.2%. Dato che coincide che la Fase 2, ha interessato principalmente i dipendenti dell’industria, tornata al 100% a pieno regime. Il 60.7% tornato a lavoro, operano nel settore manifatturiero. Il 15.1% nelle costruzioni, il 12.7% nel commercio e l’11.4% in altre attività di servizio.
Donne sempre più sole
Alle donne il lavoro più duro tra quarantena, smart working e figli costretti dentro casa con le scuole chiuse. Gravoso era già prima l’impegno in casa, dove per il 74% delle donne italiane non c’è alcuna condivisione con il partner. E quindi ancor più in risalto lo stereotipo di genere, ancora molto forte nel nostro Paese. Dove alle donne viene assegnato ancora il compito di ruoli familiari. Che in altri paesi sono condivisi in modo molto più equo nella coppia.
L’occupazione più bassa d’Europa
Dal momento che sono ripartite solo le attività a predominanza maschile. E quindi con settori del commercio e del turismo tra i meno remunerati e messi a dura prova. Dall’emergenza sanitaria in corso, in cui vede l’occupazione della maggior parte delle lavoratrici donne. Un dato che non sorprende visto che il tasso di occupazione femminile era già il più basso in Europa. Al 49.5% già prima che arrivasse la pandemia e con oltretutto anche i salari inferiori, rispetto agli uomini.
Fuori dal giro anche i giovani
Nella classifica dei penalizzati insieme alle donne troviamo anche i giovani, che a loro volta sono in una situazione critica. C’è chi è stato colpito pesantemente dal lockdown ed ora si ritrova in condizioni precarie, in cerca di un nuovo lavoro. E chi continua comunque a restare in casa in attesa delle nuove disposizioni governative. Tra le categorie più colpite che hanno fatto più fatica a riprendersi si notano gli under 30. Se si vuole pensare ad esempio al settore della cura dei bambini più piccoli. Come gli asili nido, scuole materne ed i campi estivi. Dove restare chiusi implica un lavoratore su tre che ha meno di 30 anni e due su tre meno di 40 anni. Complice della situazione della crisi lavorativa giovanile è stata anche la grande recessione, dopo la successiva crisi dei debiti sovrani. Che hanno causato tassi di disoccupazione molto elevati, con redditi più bassi della media. E con questo ulteriore colpo alle loro aspettative lavorative. Si potrebbe verificare una situazione ancor più complicata, senza appropriati ammortizzatori.
A lavoro anche i 50-60enni
A timbrare il cartellino in gran numero sono stati, soprattutto i dipendenti di fascia d’età compresa tra i 40 e i 49 anni. Sempre a livello di percentuali il 70% di chi è tornato a lavoro, appartiene a coloro. Che hanno un’età compresa tra i 50 e 59 anni e per il 60% agli over 60.
Dati allarmanti
Bisognerebbe spingere il nostro Paese, verso un cambiamento veloce. Evitando che si rischino di vanificare i progressi lenti e faticosi. Che si sono registrati negli ultimi anni sul fronte della partecipazione femminile al mercato del lavoro. Inoltre anche il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che un riequilibrio di genere nel lavoro a livello mondiale porterebbe ad una crescita del PIL del 35% entro il 2025. Ma un altro dato allarmante è che secondo il World Economic Forum. L’Italia è scesa nel 2020 al 76esimo posto nel mondo del Gender Gap retributivo e occupazionale con un tasso di natalità tra i più bassi del mondo. Il che dimostra ancora una fonte di ulteriore arretratezza.