Europa, vezzo o necessità?
Dalla sua nascita iniziale nel dopoguerra all’introduzione dell’Euro nei primi anni 2000, l’Unione Europea ha garantito ampia libertà di circolazione di persone, beni, servizi e capitali che ha favorito lo sviluppo economico degli Stati membri, oltre a inserirli in un orizzonte continentale capace di relazionarsi più o meno alla pari con le grandi potenze. La creazione di un tale apparato amministrativo ha però portato con sé degli evidenti paradossi economici e sociali, in primis l’esercizio di una parte della sovranità dei singoli paesi (art. 10 e 11 della Costituzione Italiana), necessario dazio da pagare per la costruzione di un sistema sovranazionale. I principali problemi di gestione, specie in campo economico, derivano tuttavia dal fatto che esistono sostanziali differenze tra i vari paesi europei. Basti pensare a proposito che la sola Germania ha un PIL superiore alla somma di Portogallo, Grecia, Romania, Svezia, Ungheria, Finlandia, Danimarca, Norvegia e Irlanda.
L’Europa di oggi è a due velocità, con una zona maggiormente sviluppata (rappresentata dall’Europa centrale) e una che stenta a rimanere al passo, rappresentata dai paesi mediterranei (ad eccezione della Francia) e dall’area centro-orientale (paesi slavi). Nel caso della disoccupazione, ad esempio, si passa da una media inferiore al 5% dei paesi germanici, al 12,5% di Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. La stessa disparità si ritrova quando si parla del rapporto tra debito e PIL, che secondo le leggi UE non dovrebbe superare il 60%. Cifra regolarmente ecceduta dal alcuni paesi come Francia, Italia e Spagna a causa di limiti strutturali delle economie locali, senza parlare di paesi come la Grecia, in cui nel 2017 il rapporto debito-PIL è arrivato a toccare il 180%.
Lo stesso sistema di contribuzioni appare fortemente differenziato con alcuni paesi, specie quelli meno estesi geograficamente che si trovano ad avere un bilancio netto positivo come è stato per Cipro, Malta e Lussemburgo nel 2017, per arrivare a casi limite come quello dell’Ungheria, che nello stesso anno ha ricevuto un surplus di 3 miliardi di euro, un “regalo” pari al 2,5% del PIL. Il budget europeo, legato per lo più allo sviluppo di politiche agricole, regionali e di ricerca, dovrebbe contribuire a rafforzare l’economia UE e appianare le differenze, ma rischia di diventare motivo di ulteriore differenziazione se assegnato senza tenere conto delle reali necessità finanziarie.