Di fronte all’America neo-imperiale l’Europa si scopre sola
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Non erano forse bastate le dichiarazioni incendiarie di Trump nel corso di tutta la sua campagna elettorale. Sicuramente sono state le parole del suo vice, J.D. Vance, a scuotere gli europei dal sonno. Casualmente è toccato al presidente tedesco Steinmaier replicare, con una certa fermezza e un minimo di dignità, al vicepresidente americano nella conferenza sulla sicurezza di Monaco. Tuttavia, la reazione delle cancellerie europee non ha potuto dissimulare lo sbigottimento di fronte a una realtà che forse ritenevano impossibile da verificarsi. All’evidenza dei fatti, risulta a oggi che l’Europa sarà tagliata fuori dai negoziati tra Usa e Russia che avranno ad oggetto non solo la pace in Ucraina ma in sostanza i futuri equilibri del continente. Non solo, oltre ad aver suggerito ai leader europei di aprire le porte ai temi e alle leadership dei partiti sovranisti, persino ai neonazisti dell’Afd tedesca, con grande nonchalance la nuova leadership americana annuncia che non è più interesse prioritario degli Usa la difesa dell’Europa, che, a questo punto, cadrà tutta sulle spalle dei suoi governi. In realtà non c’è nulla di nuovo, si tratta nient’altro che di una richiesta, o imposizione, agli europei che risale alla prima presidenza di Trump: devono pagarsi da soli la propria difesa.
Non si tratta, è bene chiarirlo, di mettere fine alla Nato, ma di invertire i termini della tradizionale impostazione strategica dell’Allenza. Non più l’ombrello americano a garantire la deterrenza europea ma, oggi che la priorità della geopolitica americana viene rivolta verso oriente e al contenimento della Cina, sarà responsabilità dell’Europa costruire una propria difesa e deterrenza. Alle leadership europee frastornate e divise è toccato imbastire una qualche reazione che è ben lontana da una strategia e un indirizzo comune. Se i tedeschi rivendicano il proprio ruolo negli aiuti all’Ucraina, i francesi sembrano voler confermare l’antico sogno di un’egemonia militare sul resto dell’Europa in ragione della force de frappe nucleare. Anche l’Unione europea per bocca della presidente della commissione von der Leyen ha rilanciato prospettando l’esclusione delle spese militari dai parametri del patto di stabilità. Potrebbe sembrare una misura adeguata, questa, in realtà lascia del tutto impregiudicata la questione centrale di un unico sistema di difesa europeo. Che ogni paese possa contribuire con le spese militari alla propria difesa più che a quella comune – in Europa si va dal 5% della Polonia a meno del 2% dell’Italia- non pare una vera soluzione del problema.
I termini della questione, messi nero su bianco, sono di estrema brutalità. Se si arriverà a un risultato finale tra Trump e Putin riguardo all’Ucraina, saranno gli europei, come ha chiarito anche il presidente ucraino, Zelenski, a doversi assumere i costi della sicurezza dell’Ucraina futura, e quindi di tutto il continente; sia in termini strettamente militari, con l’impegno di uomini e mezzi, sia in termini economici. Il ruolo di un’Europa che credeva di assurgere a un nuovo protagonismo con il sostegno all’Ucraina viene così declassato a quello di semplice attendenza. Ma le pessime notizie per i paesi dell’Unione non finiscono qui. Ben lungi dal mettere in piedi una difesa europea e un sistema comunitario di spesa sul modello del recovery plan, come suggerito da Draghi, la prospettiva di sganciare le spese militari dalle clausole del patto di stabilità crea altri problemi. Le spese per la difesa graveranno su bilanci statali appesantiti da un’economia in stagnazione esposta ai dazi americani, all’alto prezzo delle fonti energetiche e al probabile tentativo dell’economia cinese di aprirsi nuovi sbocchi nei settori ad alta tecnologia dove l’Europa non è più competitiva. Uno scenario da far tremare chiunque e che metterà duramente alla prova la nuova commissione europea.