Crisi Stellantis: urgenza di una strategia industriale per la transizione e la sostenibilità
La crisi di Stellantis evidenzia l’urgenza di una politica industriale più lungimirante e integrata. È necessario superare l’approccio emergenziale e adottare una strategia che promuova l’innovazione, la diversificazione industriale e la formazione dei lavoratori. Questo richiede investimenti significativi non solo nel settore automobilistico ma anche in tecnologie emergenti, infrastrutture e modelli di mobilità sostenibile.
Il caso Stellantis evidenzia due aspetti cruciali e interconnessi: la miopia delle politiche industriali e governative italiane degli ultimi trent’anni e il fallimento della transizione verde nel settore automobilistico. Questi due elementi delineano il contesto di una crisi strutturale, emblematica non solo per Stellantis ma per l’intero comparto automobilistico europeo.
Una miopia strategica di lunga data
Negli ultimi tre decenni, la politica industriale italiana non ha saputo cogliere i segnali di un cambiamento inevitabile nel settore della mobilità. L’evoluzione tecnologica, la necessità di ridurre le emissioni di carbonio e l’affermarsi di modelli alternativi di trasporto erano prevedibili e già discussi negli anni ’90, quando i primi studi sull’impatto ambientale dei combustibili fossili e l’interesse per veicoli elettrici iniziavano a emergere. Tuttavia, il settore pubblico e privato hanno trascurato investimenti strategici in ricerca e sviluppo, privilegiando il mantenimento di un modello produttivo tradizionale, incentrato su un’industria automobilistica convenzionale e poco innovativa.
Questo approccio ha avuto conseguenze devastanti. Le risorse pubbliche sono state utilizzate per sostenere imprese come Fiat — poi Stellantis — senza condizioni stringenti su obiettivi di innovazione e sostenibilità. Si è perso il potenziale di incentivare un ecosistema industriale più diversificato e resiliente, capace di adattarsi alle trasformazioni globali. Invece di promuovere start-up nel campo della mobilità alternativa o sostenere la transizione delle competenze dei lavoratori verso nuovi settori, le politiche pubbliche si sono limitate a tamponare le crisi cicliche, ritardando l’inevitabile.
La transizione mancata verso l’elettrico
Il secondo aspetto riguarda il flop della transizione verso le auto elettriche. Stellantis, come altre case automobilistiche, ha investito notevoli risorse nella produzione di veicoli elettrici (BEV) in risposta a pressioni normative e obiettivi climatici. Tuttavia, il mercato ha risposto tiepidamente. In Europa, le vendite di city car elettriche sono crollate del 54% nei primi dieci mesi del 2024 rispetto all’anno precedente. In Italia, la quota di mercato delle auto elettriche si attesta intorno al 4%, un dato allarmante che dimostra come l’adozione di questi veicoli sia ancora lontana dall’essere mainstream.
Il caso della Fiat 500 elettrica, prodotta nello stabilimento torinese di Mirafiori, è emblematico. Le vendite si sono fermate sotto le 2.000 unità nei primi dieci mesi del 2024, rendendo necessaria una drastica revisione dei piani produttivi. La decisione di Stellantis di avviare la produzione di una versione ibrida della 500 a partire dal 2025 testimonia il fallimento di una strategia che non ha saputo considerare le reali condizioni di mercato e le esigenze dei consumatori.
Le radici del flop: consumatori e infrastrutture
Il fallimento delle auto elettriche non può essere attribuito solo alle case automobilistiche. In Italia, l’inadeguatezza delle infrastrutture di ricarica, i costi elevati dei veicoli e un quadro normativo poco coerente hanno contribuito a scoraggiare i consumatori. Inoltre, l’assenza di un piano nazionale di educazione e sensibilizzazione sui benefici della mobilità elettrica ha creato un divario tra l’offerta tecnologica e la domanda.
Stellantis si trova quindi a navigare in acque tempestose. Gli stabilimenti italiani, come quello di Mirafiori, operano al di sotto della capacità produttiva, con i lavoratori in cassa integrazione e una prospettiva di utilizzo prolungato degli ammortizzatori sociali nel 2025. L’azienda è costretta a rivedere i propri piani strategici, mentre affronta una riduzione dei ricavi (-27% nel terzo trimestre del 2024) e un calo delle consegne globali (-20%).
Le dimissioni di Tavares e la sfida della governance
In questo contesto, le dimissioni di Carlos Tavares dalla carica di amministratore delegato di Stellantis rappresentano un evento significativo. La sua gestione è stata oggetto di critiche, soprattutto per le strategie di delocalizzazione e per il rapporto conflittuale con i sindacati e le istituzioni italiane. La scelta di un nuovo leader, prevista entro la metà del 2025, rappresenta un’opportunità per ridefinire le priorità dell’azienda. Tuttavia, resta da vedere se la nuova leadership sarà in grado di bilanciare le esigenze degli azionisti con quelle dei lavoratori e del mercato.
Il ruolo delle istituzioni: dalla critica all’azione
Le dichiarazioni dei principali attori politici italiani, tra cui il vicepremier Matteo Salvini e il ministro degli Esteri Antonio Tajani, riflettono un crescente malcontento verso l’operato di Stellantis. Salvini ha criticato l’azienda per un “comportamento arrogante”, sottolineando come i miliardi di euro di denaro pubblico ricevuti nel corso degli anni non abbiano portato benefici tangibili per il sistema produttivo italiano. Tajani, da parte sua, ha posto l’accento sulla necessità di garantire il lavoro e rilanciare il settore attraverso un “Piano Italia” che riaffermi la centralità del nostro Paese nei progetti di sviluppo di Stellantis.
Verso il futuro: una visione strategica per la mobilità
La crisi di Stellantis evidenzia l’urgenza di una politica industriale più lungimirante e integrata. Questo richiede investimenti significativi non solo nel settore automobilistico ma anche in tecnologie emergenti, infrastrutture e modelli di mobilità sostenibile.
Il caso Stellantis deve diventare un monito per evitare che errori del passato continuino a gravare sul futuro industriale italiano. La transizione ecologica e tecnologica può essere un’opportunità, ma solo se accompagnata da una visione chiara e da un impegno coordinato tra imprese, governo e società civile.