Crisi del comparto moda. Le regioni in campo per la tutela dell’occuazione e del reddito dei lavoratori
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La crisi morde anche un settore che è sempre stato il fiore all’occhiello dell’export italiano. Il comparto moda è infatti in grande difficoltà e corre il rischio di pesanti ricadute sia sul piano dell’integrità del settore produttivo che su quello occupazionale. Allo scopo di fare fronte a questa situazione allarmante, lo scorso 18 settembre si è tenuta una riunione del Tavolo sulla crisi del Settore Moda, convocata dal Ministero del Lavoro sulla base di una esigenza emersa in seno alla XI Commissione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome– a seguito di una iniziativa del Presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani.
Proprio in tale occasione è stata evidenziata la necessità di mettere in campo strumenti di difesa degli equilibri economici e occupazionali del settore, volti in particolare alla tutela del reddito dei lavoratori coinvolti.
Il Ministero del Lavoro ha manifestato la volontà di intervenire con uno strumento straordinario, che è ancora però da definire. Si potrebbe operare con un strumento simile a quello adottato durante la pandemia, cioè un ammortizzatore sociale in deroga con un meccanismo di funzionamento flessibile. Il Ministero ha quindi invitato le Regioni a porre in essere un monitoraggio al fine di individuare la platea interessata alla misura di salvaguardia del reddito.
È stato quindi dato mandato dalla XI Commissione agli uffici del Coordinamento tecnico della Conferenza Stato-Regioni di avviare una ricognizione al fine di organizzare l’intervento. A seguito delle comunicazioni delle Regioni interessate, solo per quanto riguarda le aziende con meno di 15 dipendenti, il numero di lavoratori coinvolti si aggirerebbe sulle 75.000 unità. Proprio riguardo alla platea che sarebbe coinvolta, nella riunione al Ministero si è evidenziata la necessità di estendere le misure di tutela del reddito anche alle imprese con più di 15 occupati. Infatti, la proposta del Ministero di applicare il beneficio alle lavoratrici e ai lavoratori di aziende con meno di 15 dipendenti in difficoltà trova fondamento nel fatto che tali aziende sono inquadrate prevalentemente come imprese artigiane e rientrano pertanto nell’ambito di applicazione del Fondo bilaterale di solidarietà per l’Artigianato. Il Fondo eroga un assegno di durata e di misura pari all’assegno di integrazione salariale con un limite temporale massimo di 26 settimane nel biennio mobile. È stata prospettata quindi la necessità che un’analoga previsione sia disposta per le aziende non artigiane, ancorché facenti parte del comparto moda, sempre con una dimensione inferiore ai 15 addetti e che dunque ricorrono ad ammortizzatori diversi quali Cigo o Fondo di Integrazione Salariale, sottostando anch’esse a precisi vincoli che potrebbero rivelarsi non compatibili rispetto all’attuale congiuntura negativa. Si è espresso l’auspicio che le aziende con più di 15 dipendenti che, ai fini dell’inquadramento contributivo, ricadono nel settore industriale, possano fare ricorso ad ammortizzatori sociali ordinari e a strumenti di integrazione salariale previsti dalla normativa vigente per coprire i restanti mesi dell’anno in corso. Non è mancato, infine, un invito alle imprese a provvedere ad un costante monitoraggio per consentire un rapido adeguamento delle misure in relazione all’evolversi della situazione occupazionale.
Insomma, tutto sembra dire che la crisi del comparto moda non è un episodio di poco conto e di breve durata e i provvedimenti richiesti dalle Regioni rappresentano un primo ma importante elemento di contrasto alle ricadute occupazionali e di reddito. Occorrerà però ripensare a una nuova strategia che tenga insieme una vera politica industriale del settore e una rinnovata capacità di intercettare la domanda.