Aria di decoupling tra Stati Uniti e Cina?
Esasperata dalla crisi sanitaria, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina è arrivata al suo terzo anno consecutivo. A poco è servita la dichiarazione del WTO dello scorso 15 di settembre con cui l’organizzazione mondiale del commercio si era pronunciata contro i dazi imposti dall’Amministrazione Trump a partire dal 2018. E così a fine settembre il Dipartimento del Commercio USA ha imposto delle restrizioni al colosso cinese SMIC, il più grande produttore di semiconduttori del Regno di mezzo.
Di tutta risposta, nella giornata di oggi il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijan – già noto per un incidente diplomatico sfiorato quando ad aprile definì il coronavirus “un virus americano” – ha annunciato l’intenzione da parte della Cina di imporre sanzioni contro Lockheed Martin, Boing e Raytheon. L’obiettivo di Pechino è quello di rendere più difficile la vendita di sistemi d’arma all’isola ribelle di Taiwan, in seguito all’approvazione da parte del Dipartimento di Stato USA di una commessa da 1,8 miliardi di dollari.
Sempre più spesso si sente parlare di “decoupling” tra le due maggiori economie del mondo. Con il termine si intende il disaccoppiamento trai sistemi economici dei due paesi, attuata attraverso il reshoring, processo che porterebbe le aziende americane a spostare la produzione dalla Cina in patria (o in paesi amici). La prima ondata di aziende che hanno deciso di trasferire la produzione è iniziata nel 2018, seguita da una nuova fase di decoupling negli ultimi mesi del 2019. Lo scorso aprile Apple ha annunciato che fino a 40 miliardi di dollari dei prossimi iPhone sarebbero stati prodotti in India invece che in Cina. Un effetto a cascata che ha portato altre 7 società taiwanesi, fornitori di Apple, a seguirla per evitare l’aumento dei costi.
Secondo la Camera di Commercio americana nel corso del 2019 “più del 70% delle società americane che operano nella Cina meridionale stanno considerando di diminuire ulteriori investimenti nella regione e spostare una parte o la totalità della produzione in altri paesi di fronte all’effetto della guerra commerciale sui profitti”. Tra queste figurano colossi della tecnologia (americani e di paesi alleati) come Apple, Samsung, HP, Dell, Microsoft e Foxconn.
Nonostante l’interscambio trai due paesi rimanga immenso, le importazioni sono diminuite del 14,3% (circa 137 miliardi di dollari) dall’inizio del 2020. Non è solo la guerra commerciale ad aver prodotto la fuga di parte delle aziende estere ma anche il progressivo aumentare del costo del lavoro. Lo sviluppo economico cinese degli ultimi anni ha infatti portato all’aumento del prezzo della manodopera e dei terreni, specie nella zona costiera, vero cuore economico del paese. Dati che fanno il paio con i 14 miliardi di importazioni che gli USA hanno spostato già nel corso del 2019 dalla Cina al Vietnam. E sono proprio i paesi del Sud Est asiatico (insieme a Messico e Brasile) i principali beneficiari della fuga dal Celeste Impero.
Ed è proprio il decoupling americano al centro delle nuove direttive di sviluppo cinesi. Xi Jinping, parlando dalla megalopoli di Shenzen, ha di recente affermato che è necessario promuovere lo sviluppo di un mercato a “doppia circolazione”, per cui la Cina debba restare la “fabbrica del mondo”, sviluppando al contempo le possibilità di un mercato interno ancora inesplorate. Da una parte il raggiungimento dell’autarchia nazionale, specie in termini tecnologici (la prima circolazione, quella interna) senza rinunciare all’estroflessione delle società cinesi nel mondo (la seconda circolazione).
Il reshoring era uno dei punti fondamentali del programma economico dell’amministrazione Trump. Un obiettivo in parte realizzato, come dimostrano i dati del 2019, anno che ha visto la maggiorazione della produzione di casa dello 0,8%. Per misurare l’andamento dell’industria manifatturiera americana è stata recentemente annunciata la creazione dell’indice CRI (CPA Reshoring Index), che si focalizza sulle capacità della produzione nazionale di conquistare fette del mercato domestico.
Pensare oggi ad un decoupling totale delle economie è fuori discussione, ma la frattura tra Cina e Stati Uniti, a livello sia economico che politico, è destinata ad allargarsi nei prossimi anni. Che oggi i tempi non sono maturi lo rileva un sondaggio recentissimo della camera di commercio americana a Shangai, seconda la quale appena il 10% delle società americane sarebbero disposte a spostarsi (relativamente alla sola città di Shangai). È probabile che, almeno in un primo momento, il decoupling riguarderà per la maggior parte quelle aziende sentite come strategiche dal punto di vista geopolitico, specie quelle impegnate nel settore tecnologico-militare. Tuttavia, l’aumento del prezzo del lavoro, il proseguimento della trade war e l’ascesa come centri produttivi di Vietnam, Cambogia e Tailandia, potrebbero spingere nel medio termine sempre più aziende ad abbandonare il Regno di Mezzo.