Chi è leader?
Un leader è chi incarna un determinato insieme di valori in un determinato ambito d’azione che è ritenuto dall’altro capace di indirizzare un gruppo di persone a compierli efficientemente- Max Weber.
Propongo questa definizione autorevole per sviluppare considerazioni pragmatiche che ne tentino una connessione avendo come riferimento la città nella quale vivo: Napoli.
Ci sono“voci”che segnalano un possibile altro evento “comico” che in realtà se dovesse verificarsi, diventerebbe drammatico “: Bassolino sindaco!
Rifacciamo il punto in grande sintesi: dopo che la città è precipitata in tutti gli indicatori di vivibilità, dopo il periodo della monnezza che ha trasmesso l’immagine di Napoli nel mondo, dopo che il dissenso da parte degli organi politici (incredibilmente di ogni posizione) e da parte della società civile ha raggiunto livelli altissimi, dopo che sono state pubblicate denuncie di ogni tipo sulla “gestione” di questa città, quindi dopo che la reputazione è la peggiore inimmaginabile a livello nazionale e internazionale…ebbene dopo tutto questo lui (il massimo responsabile perché il ruolo lo designa come tale) il Bassolino è ancora in qualche modo sulla scena.
In sostanza tutto quello di cui sopra sembra equivalga a punti-premio che gli sono, riconosciuti e quindi possa continuare nel suo gioco preferito: fare ogni tanto feste che celebrano il massacro di questa città-.
Rileggiamo la definizione di Weber e pensiamo quanto si leghi al profilo del nostro “leader” (certo non solo lui).
Faccio una domanda innocente: “Ma com’è possibile che avvenga questo?” Non capisco, oppure capisco che è proprio vero che la politica (qui a Napoli in particolare) gioca un gioco che non ha niente a che fare con la governance della città.
Continuiamo a dirlo ma è come se fosse questo un male di cui non possiamo fare a meno.
Ogni sistema organizzato definisce un output che indica il successo di quel sistema e dei parametri che indicano la possibilità di ottenere quell’output.
Per esempio per una squadra di calcio è la posizione in classifica e i punti conquistati mentre i parametri sono la condivisione strategica, gli schemi di gioco, l’integrazione, ecc.
Per un’impresa il fatturato rispetto alle spese e i parametri, la soddisfazione dei clienti, il numero di progetti, lo sviluppo delle competenze, ecc.
Potremmo farlo su tutto, dovremmo farlo su tutto.
Anche per una città?
Certamente, come si fa a capire il successo di una città? Qual è l’output? Dovrebbero essere la vivibilità e lo sviluppo della capacità di vivere insieme come cittadini.
Ma quali sono i parametri che valgono per essere legittimati in punti di potere per il governo della città?
E allora come si fa a pensare che questa città possa coltivare una speranza di ripresa quando ci sono esempi d’immoralità premiata così giganteschi?
Ma quali modelli pubblici possiamo indicare per tentare il recupero dei nostri giovani soprattutto quelli che vivono male? A Napoli viviamo male tutti anche se qualcuno peggio e chi sta peggio tenterà di far star male chi sta meglio per ridurre il proprio malessere e da qui la paura come “atmosfera”diffusa in questa città.
Il progetto (nei fatti) è di un peggioramento della vita perché è soprattutto nelle relazioni che si affermano il benessere o il malessere.
Cresce la sfiducia e il dramma è che questo è plausibile!
Che senso ha continuare a manifestare il dissenso quando l’energia che s’investe nel farlo dimostra la sua inutilità con la totale indifferenza arrogante di chi è il soggetto destinatario della critica.
La tua indignazione ti ritorna contro…sperimenti il tuo non essere cittadino, sperimenti la totale dipendenza nei confronti di un gioco che ha regole diverse da quelle che tu consideri nella tua disapprovazione e quindi sperimenti continuamente l’impotenza e la frustrazione.
Ci si lamenta al bar, nei taxi, nelle organizzazioni, ecc. spesso si costruisce in modo più consistente la critica anche con scritti, pubblicazioni, ecc.
Ma tutto è neutralizzato dentro un grande rito che disperde il senso e anzi in questi giochi oscuri chi ora critica è pronto a non farlo più a fronte di un vantaggio personale.
Quello che tiene uniti o che separa segue dinamiche liquide, contingenti in un campo di forze che si modifica costantemente sulla base d’integrazioni di opportunismo non collettivo.
I principi, il valore, l’etica, ecc, sono parole vuote o meglio parole cornice entro la quale c’è violenza (intesa come presa di distanza dal soggetto e indifferenza rispetto agli scopi etici).
Se qualcuno che ha usato il suo potere per produrre vantaggi non collettivi determinando il peggioramento delle condizioni di vita del contesto nel quale il suo mandato (con il potere relativo) doveva esprimersi allora se non è cacciato via da quel ruolo, vuol dire che chi ha il potere di farlo non lo fa perché non può (e si dovrebbe capire perché) o non vuole (e si dovrebbe capire perché).
Allora si deve rinunciare?
No credo che fintanto che si sta dentro un sistema si debba continuare a tentare il gioco del valore perché l’opposto della speranza è la disperazione, facendolo con i mezzi di cui si dispone e mantenendo un comportamento individuale (professionale, personale, sociale) che non aumenti la disgregazione del sistema e dall’altro tentare modalità d’influenzamento che utilizzino personali risorse o competenze.
A Napoli non ci sono leader per questo accade tutto ciò.
Rileggete ancora la definizione di Weber e appare chiaro che la leadership per potersi affermare richiede che chi la incarna sia in possesso di contenuti forti legati a strategie di sviluppo.
La strategia è orientata verso il futuro e prospetta azioni capaci di migliorare la vita di chi il leader conduce e quindi il leader strategico si pone come esempio facendo e suggerendo come si deve fare e quindi promuove la fiducia.
La fiducia si ottiene sui fatti ossia attraverso l’attendibilità dei contenuti razionali che il leader esprime e si ottiene attraverso il sentimento che si prova nei confronti del soggetto detentore del potere perché “si sente”che ha consistenza etica.
C’entrano la storia ossia la conferma nel tempo della bontà dei suoi propositi e dei suoi risultati, la reputazione appunto.
Un leader decide e fa decidere creando così la fiducia collante fondamentale delle organizzazioni umane.
Un leader costruisce l’immagine partendo dall’interno del sistema con la forza dei fatti e poi sono questi che all’esterno risaltano e la confermano.