A Yulin va di moda il fast food dell’orrore
Sono dieci i giorni infernali del Festival della carne di cane di Yulin. Diecimila cani e gatti torturati, spaventati, e infine uccisi. Intere traversate in gabbie strette senza acqua e ne cibo, e infine la morte. Questo il destino di diversi animali che raggiungono la città di Yulin.
Come per la SARS, sotto i riflettori per il consumo di animali selvatici, è la medicina cinese, la quale prevede un’alimentazione alternativa per la cura di alcune patologie. Un giro d’affari che coinvolge 6.3 milioni di addetti ai lavori, con un fatturato di 18 miliardi di dollari.
La città di Yulin, nel Guangxi si appresta a festeggiare il Solstizio d’Estate con il suo solito rituale. La provincia del Guandgdong ha vietato qualsiasi commercio di animali selvatici e domestici ad uso alimentare. Grandi passi avanti, in questo senso, se si pensa che Guangdong è nota come il luogo dove tutto ciò che compie un movimento, è commestibile, o come preferiscono dire i suoi fedeli abitanti:
“Qualsiasi cosa che ha la colonna dorsale non dritta o che ha quattro piedi e non è un tavolo, può essere mangiata”.
L’inferno del Wet Market
L’edizione 2020 si è fatta largo in una situazione complicata. Nel periodo covid-19, infatti, non è tardata la riapertura di numerosi wet market. Il mercato ricava la sua denominazione dalle caratteristiche strutturali. I “mercati umidi” non rispettano alcuna norma igienica, gli animali vengono uccisi in loco, diverse tipologie di sangue e liquami si mescolano, dando al pavimento l’aspetto umido da cui si ricava il nome. Inutile dire, che in un mercato così ortodosso infezioni e batteri trovano una rapida diffusione.
Il governo cinese sembrava aver cambiato rotta, imponendo paletti sulla commercializzazione di animali selvatici: stop al consumo alimentare di cani e gatti. Ufficialmente, di fatto, un divieto esiste, ma in alcuni posti della Cina, come a Yulin, le barbarie non hanno avuto fine.
Un pericolo sanitario, che ha dato i suoi peggiori riscontri nell’epidemia di coronavirus. Grandi sospetti, infatti, per quanto riguarda il ceppo iniziale del covid. È stata, di fatto, riscontrata una similitudine del 96.2% tra il SARS-CoV-2 e il coronavirus in due specie di pipistrelli e una leggermente inferiore (91.02%) con quello isolato nel pangolino malese (Manis javanica).
A chiedere la chiusura di tali mercati, è stato il virologo della task force della Casa Bianca, Anthony Fauci: “dovrebbero essere chiusi immediatamente”, ha dichiarato il 3 aprile. Qualche giorno dopo, si è espresso anche l’Onu, con una richiesta di divieto mondiale definitivo, per salvaguardare le specie selvatiche di animali, e prevenire eventuali prossime pandemie.
Cani e gatti, quindi, finiscono nella categoria “animali da compagnia”, ma ancora troppi animali sono destinati all’uso alimentare, come la renna, l’alpaca, il fagiano, lo struzzo e la faraona. Visoni, procioni e due specie di volpi potranno, invece, essere messi in commercio ma non per scopi alimentari.
Grande cambiamento di rotta, quindi, quello che la Cina si appresta a fare, rinunciando a grandi introiti economici. Basti pensare che il traffico di animali esotici, per lo più, condotto nei wet market cinesi, solo nel 2018, ha generato un giro d’affari di 73 miliardi di dollari.
Come funzionano i Wet Market?
Niente di più disumano. Il “mercato umido” più che ad un ristorante, assomiglia ad uno zoo con gabbie in bella mostra, ed animali pronti ad essere scelti come una pietanza sul menù. Cani, gatti, pangolini, marmore, lontre, civette, ma anche teche con serpenti, bisce e rettili, sono gli animali che possono essere ordinati nel fast food dell’orrore. Il fieno riempie le piccole strettoie dove gli animali attendono la morte, ad accompagnare tale scenario, sono senz’altro gli odori intensi di animali impauriti, feriti e sporchi. In lontananza si possono ascoltare i loro striduli o lamenti.
Un commercio che cambia
Sebbene la Cina stia subendo un processo di trasformazione commerciale, i mercati tradizionali trovano ancora terreno fertile nelle piccole città e nelle zone rurali, mentre nelle grandi città si preferiscono i supermercati a larga distribuzione.
Mangiare specie selvatiche, sembrerebbe essere però, la “nuova moda dei ricchi”
La nuova moda, dal nome “yewei” sarebbe quella che sta prendendo largo spazio nelle classi agiate. L’idea, è quella di avere in bocca “un gusto selvaggio”. Secondo un recente studio, condotto da Il Sole24Ore, nel 2017, il commercio illegale legato alla fauna, vale oltre 23 miliardi di dollari, a cui va aggiunta senz’altro anche la pesca illegale (36 miliardi circa) e il disboscamento illegale (157 miliardi).
La nuova tendenza dei ricchi, sembrerebbe non avere paura delle 200 zoonosi riconosciute dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità. Rabbia, la leptospirosi, l’antrace, la SARS, la MERS, la febbre gialla, l’AIDS e Ebola e molte altre.
Tali malattie, infatti, possono essere trasmesse dall’animale all’uomo e viceversa.
Il commento
L’associazione Humane Society International che da anni si batte contro questo orrore, ha spiegato che l’evento, nato nel 2010 non si configura come tradizione popolare, quanto piuttosto è stato un modo per incrementare le vendite. Stesso sistema, avvenuto in tempo Covid-19, dove in alcune zone della Cina, la carne di altre specie aveva raggiunto prezzi esorbitanti. A dispetto della carne di cane, che aveva prezzi più contenuti.
«Sono migliaia i cani e gatti presi da strade o rubati da cortili, rinchiusi in gabbie e stipati su tir, senza cibo e acqua. Molti muoiono per le ferite, soffocamento, disidratazione o infarto prima di raggiungere la loro triste destinazione, il macello» questo il commento della HSI.
Anche Michela Vittoria Brambilla, presidente della Leidaa (Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente) e rappresentante in Italia della World Dog Alliance, ha commentato l’accaduto.
«È sconfortante constatare che neppure la dura lezione impartita dalla malattia serve a chiudere definitivamente un’iniziativa barbara ed orribile, condannata dal mondo intero e radicata in usi e costumi sempre più impopolari tra la stessa popolazione cinese».
In Italia non ci sono prove del consumo di carne felina e canina. Ma è stata depositata una proposta di legge che introduce il divieto di macellazione e il consumo di tale specie. Divieto già esistente in Germania ed Austria.
Ancora troppi, quindi i cani uccisi per l’alimentazione umana, circa 30 milioni all’anno, 10 solo in Cina. Cani e gatti sottratti alle loro famiglie, ridotti in situazioni al limite dell’umano, per essere torturati con scosse elettriche, o scuoiati vivi, e poi mangiati.
In un mondo dove i dati ufficiali affermano che circa 90mila persone sono morte a causa del Covid-19. Nemmeno la perdita di vite umane sembra fermare una barbarie simile. Dove nel solstizio d’estate, un cane sta già tremando di paura e fra qualche secondo sarà la portata principale sulla tavola di un mostro.