Alla scoperta di Francesco Carignani
Intervista a cura di Silvana De Dominicis
Abbiamo il piacere di ospitare Francesco Carignani, Presidente presso Fucina Umanistica Digitale, Consigliere presso American Studies Center – Associazione Italo Americana di Napoli e Consigliere Prima Municipalità del Comune di Napoli.
- Il mio benvenuto a Francesco Carignani. Vuol presentarsi ai nostri lettori raccontando come è iniziato il suo percorso professionale?
Sono nato a Napoli 37 anni fa. Mi sono laureato in Scienze della Comunicazione e contemporaneamente ho iniziato a lavorare in giro per l’Italia su set di film e pubblicità come assistente. A 25 anni sono partito per un corso di cinema alla prestigiosa University of Southern California a Los Angeles, dove ho vissuto un anno e mezzo. Lì ho avuto modo di lavorare per festival di cinema e case di produzione. Tornato in Italia ho proseguito il mio percorso lavorando nella produzione di documentari, prima di trasferirmi per un anno a Parigi. Tornato nuovamente in Italia, ho iniziato un rapporto lavorativo di quattro anni con una federazione di medici internazionale, organizzando congressi in giro per il mondo. Nel 2016 mi sono candidato come Consigliere della Prima Municipalità di Napoli, dove sono stato eletto e dove attualmente ricopro anche il ruolo di Presidente della Commissione Trasparenza. Nel frattempo ho preso una seconda laurea in Management del Patrimonio Culturale ed ho iniziato a collaborare su progetti di ricerca con la Federico II, dove attualmente sto svolgendo un dottorato di ricerca in Management.
- Dal 2016 Lei è consigliere della Prima Municipalità di Napoli. Nel corso di questi anni, quale è stata la difficoltà maggiore che ha dovuto affrontare?
Fronteggiare la burocrazia italiana può essere qualcosa di molto snervante. Il contesto del Comune di Napoli, dove le risorse sono estremamente limitate (come purtroppo in molti comuni del sud), rende tutto molto complicato. Alcune cose si riescono a risolvere velocemente, grazie a tante donne e uomini di buona volontà che lavorano nella Pubblica Amministrazione in condizioni, non proprio ottimali. Per altre cose, anche semplici, c’è bisogno di una forte continuità e risulta complicato riuscire a spiegare al povero cittadino incredulo, ad esempio, come mai c’è voluto un mese per sostituire dei paletti divelti.
- Quali abilità ha appreso naturalmente e quali ha ottenuto con un po’ più di fatica?
Ho appreso velocemente la pazienza. Come dicevo, tempistiche molto lente possono far perdere le motivazioni iniziali, facendoti affrontare la macchina amministrativa con una forte passività. Non era questo lo spirito con cui ho scelto di impegnarmi per la mia città ed ho cercato di tenerlo presente tutti i giorni e non è stato sempre facile. È più facile cadere nella tentazione di lamentarsi soltanto, dell’incolpare la fazione politica avversaria, piuttosto che lavorare per risolvere il problema. Con un po’ più di fatica, ho dovuto imparare a gestire il mio tempo ed i miei impegni, proprio per un problema di continuità. In questo mi sono di grandissimo aiuto le tecnologie digitali che, sincronizzate tra loro, mi ricordano di sollecitare e seguire, con cadenze prestabilite, problematiche che seguo da settimane e mesi. In questo modo posso portare avanti contemporaneamente numerosi impegni amministrativi (penso a strade, paletti, ma anche rigenerazione di spazi urbani), senza rischiare di perdermi qualcosa nel tempo.
- La sfida più grande ma anche quella che ha dato maggior soddisfazione?
A mio avviso il buon politico deve avere una doppia modalità di lavoro: breve e lunga. La breve ti permette di far tappare il buco per strada. Con la lunga invece, si affrontano tematiche più complesse, che possono incidere maggiormente sulla vita dei cittadini. Negli ultimi anni mi sono impegnato soprattutto su due grandi progetti. Il primo è il restauro e la riapertura del Mausoleo Schilizzi, dove purtroppo per il momento non ho raccolto i frutti sperati. Il secondo è la rigenerazione dell’ex mercato di Sant’Anna di Palazzo, ai quartieri spagnoli. Un’area progettata dal famoso architetto Salvatore Bisogni, ma abbandonata da più di trent’anni. Dopo aver fatto bonificare la struttura per venti giorni, con il Comune abbiamo coinvolto i residenti, con due assemblee pubbliche, per decidere cosa farne e coinvolgendo i ragazzi di un istituto tecnico per i rilievi. Grazie a queste idee abbiamo emanato un bando di affidamento ed a giorni si dovrebbe firmare la convenzione per far iniziare i lavori che trasformeranno l’ex mercato in uno spazio studio per ragazzi, con un caffè e spazi per corsi di teatro. Ne sono molto orgoglioso soprattutto perché si trova in una zona complessa, dove è importante impegnare il tempo dei ragazzi in modo sano e lontano da dinamiche delinquenziali.
- Nel corso della sua carriera, Lei ha vissuto anche un’importante esperienza professionale fuori Italia: Los Angeles, Parigi… se dovesse descrivere una sola cosa di cui ha potuto beneficiare all’estero rispetto al nostro Paese, cos’è la prima cosa che le balza in mente?
Sicuramente il mercato del lavoro differente. Nel resto d’Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti, è inconcepibile svolgere lo stesso lavoro per più di tre o quattro anni. In questo arco di tempo dovresti aver imparato tutto e dovresti passare ad un’esperienza successiva, con un nuovo incarico, nuove responsabilità ed un salario maggiore. Purtroppo in Italia questo è fantascienza. Salvo poche eccezioni, viviamo ancora con il mito del cosiddetto “posto fisso”, per colpa di un mercato del lavoro rigido e di una forte disoccupazione. Leggevo ultimamente, e mi ritrovo con quanto ho avuto modo di vedere, come negli USA lo stesso concetto di fallimento sia diverso dal nostro. Mentre da noi è prettamente negativo, legato spesso anche alla truffa, in America un fallimento è visto in maniera più neutrale, se non con curiosità: vuol dire comunque che ti sei messo in gioco e che probabilmente hai fatto qualcosa di importante, che purtroppo non è andato a buon fine. Sono comunque esperienze rilevanti. Da noi questa fluidità nel lavoro e questa flessibilità nel giudicare chi si propone, è assente. Se posso aggiungere anche una cosa, all’estero ho potuto anche beneficiare dell’essere italiano: sinonimo di lavoratore e maestro nel problem solving, chi ti assume è consapevole che hai una marcia in più. Peccato che per ricordarcelo dobbiamo andare fuori.
- Ringraziandola del tempo dedicato, in conclusione, c’è una frase famosa rivolta alla città di Napoli che recita più o meno così: “Il presepe è bello, ma i pastori so’ malamenti” . Si trova in accordo con questa citazione?
Non è tra le mie citazioni preferite. Il presepe è meraviglioso e spesso dobbiamo allontanarci per apprezzarlo. È vero che tra i cittadini ci sono tanti incivili, poco collaborativi nel rispettare le regole o nel tener pulita la città. Dobbiamo pensarla però come una minoranza molto rumoroso. La maggior parte dei napoletani ama veramente la propria città, non solo allo stadio, ed in questi ultimi dieci anni abbiamo potuto vedere come l’associazionismo tra cittadini sia stato essenziale in tante dinamiche, sociali e culturali, arrivando spesso a sopperire a forti mancanze del pubblico. È essenziale però, per migliorarci e per guarire quei napoletani legati ad inciviltà e delinquenza, lavorare molto sui bambini e sui giovani. A mio avviso è l’unico modo per coltivare dei cittadini migliori per il futuro. Da amante della città, penso che un periodo all’estero è fondamentale per tutti i ragazzi, per più motivi: si ha modo di apprezzare di più le bellezze di Napoli, ma soprattutto di rendersi conto delle cose che non funzionano, migliorando il proprio senso civico. Fare esperienze differenti dal proprio contesto è molto importante, perché sviluppa un know-how diverso rispetto al proprio punto di partenza. In questo modo i giovani possono poi ritornare in città, portando con loro importanti esperienze di lavoro, che possono aiutarli a migliorare Napoli.