Accesso all’acqua potabile a rischio. La tecnologia può risolvere il problema?
Il diritto all’acqua è una realtà consolidata per i paesi ricchi, mentre resta ancora un miraggio per i più poveri. Nel mondo basti pensare che circa 2 miliardi di persone vivono ancora in territori in cui è difficile trovare risorse idriche per la cura della persona e per i servizi domestici.
L’acqua, elemento essenziale per la vita, crea disuguaglianze e soprusi e la sua gestione scorretta porta a squilibrio e ingiustizie. Secondo il report annuale dell’UNESCO sullo stato del diritto all’acqua, intitolato quest’anno “Leaving No One Behind”. Le persone in povertà, quelle residenti in Paesi in via di sviluppo, le donne, i bambini, le popolazioni indigene, le minoranze etniche e i migranti sono le categorie con i più bassi indici di accesso all’acqua potabile e a servizi sanitari sicuri.
Invertire il trend per l’aumento di domanda
Paradossalmente però mentre i consumi d’acqua crescono in tutto il mondo, l’aumento di domanda più cospicuo proviene proprio dai Paesi in via di sviluppo. Luoghi dove la quantità di acqua pro capite giornaliera a disposizione è estremamente inferiore ai 50 litri indicati dall’OMS come soglia base.
Una via percorribile per invertire il trend è quella di indirizzare degli investimenti al miglioramento delle reti idriche. Di questo avviso è il Consiglio Mondiale dell’Acqua che sollecita i governi, le banche d’investimento e i fondi di tutto il mondo a dare priorità ai finanziamenti per migliorare le infrastrutture idriche. La piattaforma globale di stakeholder si batte da anni in questo senso, proprio come previsto anche dall’aggiornamento del 2010 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
L’Agenda 2030 dell’ONU
Gli investimenti finanziari secondo l’ONU dovrebbero triplicare fino a raggiungere i 255 miliardi di euro all’anno, compresi i costi operativi e di manutenzion. Al fine di realizzare il sesto obiettivo dell’Agenda 2030 (acqua pulita e servizi igienico-sanitari). Nel suo ciclo idrologico, l’acqua è interessata da molteplici fonti d’inquinamento. Alcune dovute all’immissione diretta di sostanze contaminanti, altre all’ingresso indiretto nei corpi idrici di inquinanti provenienti dall’atmosfera. Di fatti il rapporto uomo e ambiente è stato tutt’altro che facile, per il particolare modo di funzionamento del tecnosistema.
L’ecosistema della Terra
Si tratta di un sottoinsieme dell’ecosistema della Terra dal quale riceve flussi in entrata(materie prime, fonti energetici) e al quale rende flussi in uscita(scarti, rifiuti). Per quel che concerne l’acqua c’è da dire che ha un altissimo potere autodepurante, data la sua capacità di decomporre biologicamente (biodegradare) le sostanze organiche di provenienza animale e vegetale, oltre ai sali inorganici del fosforo e dell’azoto e a vari composti inorganici.
Questa capacità è dovuta all’azione di microrganismi presenti nelle acque, che sono in grado di ossidare i materiali biodegradabili demolendoli in molecole semplici che prendono parte ai cicli naturali come quelli del biossido di carbonio, acqua, nitrati, solfati, ammoniaca. Tale processo avviene in condizioni aerobiche situazione che richiede la presenza di ossigeno, che i microrganismi trovano disciolto nelle acque, e il cui consumo è gradualmente compensato dall’assorbimento di nuovo ossigeno atmosferico.
Il progetto del MIT
Se la richiesta di ossigeno è tanta da superare la capacità di riossigenazione, subentrano fenomeni putrefattivi, nel corso dei quali vengono liberate sostanze tossiche, che provocano una degradazione dell’ecosistema acquatico. Il problema di accesso all’acqua in parte è affidato al mondo tecnologico con soluzione che vanno dalla raccolta dell’acqua piovana alla depurazione di fonti idriche inquinate, fino desalinizzazione dell’acqua marina. Un progetto del MIT ha tentato di dare una soluzione. Si tratta nello specifico di un folto gruppo di ingegneri del Massachusetts Institute of Technology, dell’università di Utah per la produzione di acqua dall’aria.
Nel dettaglio
Il dispositivo sfrutta una differenza di temperatura per consentire a un materiale adsorbente, che raccoglie il liquido sulla propria superficie, di catturare umidità durante la notte e rilasciarla il giorno successivo. Quando il materiale subisce il calore dalla luce solare, la differenza di temperatura permette alle goccioline assorbite di essere rilasciate per condensarsi su un piatto di raccolta. Tale progetto è stato presentato anche una prima volta con l’uso di materiali particolari noti come MOF. Strutture metallorganiche, ovvero cristalli sintetici ad elevata porosità interna, che però sono costosi e complicati da produrre, e quindi il risultato finale non era sostenibile. Il punto di svolta è arrivato con l’utilizzo di un design a due stadi utilizzando un nuovo materiale assorbente facilmente reperibile: una “spugna cristallina” che appartiene alla classe degli zeoliti, un minerale composto da un allumino fosfato di ferro microporoso.
I miglioramenti apportati rispetto al primo prototipo hanno migliorato sicuramente la produttività del sistema. Basti pensare che i litri potenziali al giorno per metro quadrato di area di raccolta solare, il processo è raddoppiato rispetto alla versione precedente. I tassi precisi tuttavia dipendono dalle variazioni di temperatura locali, dai raggi solari e dai livelli di umidità. Il prototipo è stato testato su un tetto al MIT prima delle restrizioni pandemiche, dando diverse grandezze in più di acqua (∼0,77 L / m2 / giorno) rispetto alla versione precedente.
Gli Zero Mass Water
Anche gli idro-pannelli solari di Zero Mass Water, startup dell’Arizona, negli Stati Uniti muovo verso l’obiettivo di favorire un miglior accesso all’acqua. Attualmente tali strumentazioni sono presenti in 45 paesi con l’obiettivo della società di incrementare la vendita diretta al consumatore.
In sostanza ogni pannello utilizza moduli fotovoltaici per alimentare dei grossi ventilatori con cui viene aspirata e raccolta l’umidità atmosferica. L’acqua presente nell’aria passa quindi su un materiale che la assorbe detto igroscopico. L’energia solare è impiegata per separare l’acqua dal materiale e purificarla. Rendendola pronta per la successiva mineralizzazione con magnesio e calcio. Il tutto è controllato da sensori che ne monitorano e ottimizzano tutto il processo. Queste tecnologie ovviano solamente in parte il problema dell’accesso all’acqua in quanto sono tecnologie con dei limiti.