Tutto parte dal pensiero
La competenza ha molti aspetti e certamente quello del saper pensare bene è uno dei principali,per vivere meglio in rapporto a se stesso e con gli altri. ”Bisogna essere positivi”.
Questa frase è usata spesso per esortare un giusto modo di reagire alle avversità o comunque per affrontare il futuro.
Ma che cosa significa concretamente?
Semplicemente che se affrontiamo un tragitto a ostacoli al buio, con degli occhiali scuri, sarà difficile percorrere molta strada senza sbattere contro i muri e farci anche male.
Forse è stato sempre così e le generazioni precedenti hanno conosciuto periodi difficili, anche più del nostro, ma questa è la complessità che ci tocca affrontare.
Ma proprio per questo non dobbiamo peggiorare tutto con il nostro modo di pensare.
Diceva, ancora, Einstein: ”Attenzione a come interpreti il mondo perché poi il mondo è come tu lo interpreti.”
Siamo noi che costruiamo la realtà attraverso la nostra interpretazione dei fatti che ci circondano ed è collegata anche alla percezione che abbiamo di noi stessi e del nostro valore.
Mi si potrebbe obbiettare che le cose sono davvero difficili indipendentemente dal nostro modo di vederle.
E’ vero ma Il modo di pensare cambia lo stato delle cose nel senso dinamico, ossia della possibilità che si modifichino migliorando o risolvendosi per effetto della nostra volontà e capacità di azione.
Conosciamo tutti il classico quesito del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, dove pur essendo oggettivamente a metà, il vederlo mezzo vuoto o mezzo pieno, soggettivamente, orienta il modo di essere e fare: pessimismo o ottimismo, appunto.
La percezione è auto confermante, vuol dire che spesso troviamo quello che cerchiamo e non quello che c’è.
Si chiama la profezia che si auto adempie secondo la definizione del sociologo statunitense Robert K. Merton, che introdusse il concetto di «una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità.
Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze».
Molto noto è il fenomeno del placebo: è una terapia o una sostanza priva di principi attivi specifici, ma che sono amministrate come se avessero veramente proprietà curative o farmacologiche.
Lo stato di salute del paziente che ha accesso a tale trattamento può migliorare, a condizione che lui riponga fiducia in tale sostanza o terapia.
Questo miglioramento indotto dalle aspettative positive del paziente è detto “effetto placebo”.
Possiamo affermare, in un altro modo, che bisogna calcolare il peso dei problemi al lordo: noi compresi.
Quindi poter affrontare la complessità, e tentare la realizzazione dei propri obiettivi dipende dall’autostima motivata, dalla consapevolezza di sé e delle proprie possibilità, dalla capacità di tollerare un alto grado d’incertezza, di costruire le competenze e, appunto, dal pensare in modo costruttivo.
Le strade dell’orientamento costruttivo sono due: quella di cominciare a essere più ottimisti e l’altra di eliminare il pensiero distruttivo.
Possono essere percorse alternativamente o simultaneamente.
La prima strada cerca di vedere gli spazi verdi, la seconda di non guardare più solo quelli rossi evitando la fissità solo sugli elementi negativi già noti e di cui si ha chiarezza (quello che perdo, quello che mi manca, quello che non succede, le avversità, le ingiustizie).
Questa rigidità, che a volte è confusa con rigore, in pratica radicalizza negativamente tutte le possibilità di riuscita perché si coltiva il vincolo, reso insuperabile dalla nostra “coltivazione”.
La propensione a concentrarsi solo sulla parte “mezzo vuota” o, in altri termini, a vedere solo i vincoli può determinare la decisione (inconsapevole) a cercarli e se proprio non ci sono a inventarli e quindi crearli. Non conoscete nessuno cosl? Io molti, soprattutto nella burocrazia.
Occorre pensare a come la realizzazione dei propri scopi può diventare possibile passando attraverso strade diverse presenti o costruibili.
Per far questo occorre non rinchiudersi nel proprio malessere che può portare alla rinuncia “ragionata”o nella costruzione di personalità vittimistiche.
La sofferenza spinge da una parte ad avvilirsi, a ritirarsi, a disinvestire, a chiudere il contatto con la speranza e il futuro oppure, dall’altra, a insistere, a intestardirsi, a contrapporsi e così via, questo è quello che possiamo chiamare il pensiero distruttivo.
Occorre, invece, mantenere il contatto con la situazione complessiva e con le proprie risorse presenti e potenziali per valutare e cogliere possibili opportunità e risolvere problemi.
Questo è il pensiero realizzativo che per esserlo davvero, e non superficialmente “positivo, ”deve uscire dalla pretesa, spesso infantile o vittimistica, e passare al proposito e poi al progetto per diventare infine azione.
La pretesa alimenta il pensiero distruttivo, il proposito quello realizzativo.