Continua l’esodo dei giovani italiani
Negli ultimi 10 anni, un numero sempre crescente di giovani decide di lasciare il nostro paese per crearsi maggiori opportunità all’estero. Il dato si consolida anno dopo anno e dimostra plasticamente l’esodo come scelta di vita sia diventato un fattore strutturale della nostra società. I giovani non si danno più confini, cercando all’estero ciò che non trovano in Italia.
I dati salienti emergono da tre differenti indagini:
Nel recente Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese rileva che dal 2015 sono circa 100mila all’anno gli italiani che lasciano l’Italia e per la gran parte sono giovani; solo nel 2017 il 53,7% dei nostri emigrati ha un’età compresa tra i 18 e i 39 anni e il 31,1% ha un titolo di studio universitario. Gran parte delle persone che vanno via dall’Italia sono giovani e istruiti. Il fenomeno – osserva l’istituto di ricerca – coinvolge tutto il territorio italiano dalla Lombardia alla Sicilia, dal Veneto al Lazio. Nel 2016 oltre 1 milione e 300mila giovani italiani si dichiarava disponibile a trasferirsi in un altro Paese per lavoro.
La fotografia che, invece, emerge dal “Rapporto 2019 sull’economia dell’immigrazione” della fondazione Leone Moressa, presentato a Roma lo scorso ottobre è la seguente: duecentocinquantamila giovani sono andati via in dieci anni dall’Italia. Hanno deciso di trasferirsi all’estero soprattutto per motivi di lavoro, perché in Italia ci sono “scarse opportunità occupazionali”. Dal rapporto viene fuori che in quasi dieci anni sono cinquecentomila gli italiani che hanno scelto di lasciare il proprio Paese, di cui la metà giovani di età compresa tra i quindici e i trentaquattro anni. Secondo i calcoli della Fondazione, la fuga all’estero di questi duecentocinquantamila giovani è costata 16 miliardi di euro, oltre un punto percentuale di PIL. Questo il valore aggiunto che i giovani emigrati potrebbero realizzare se occupati in Italia.
L’Italia registra il tasso di occupazione più basso d’Europa nella fascia 25-29 anni: il 54,6 percento contro una media Ue del 75 percento. Nella stessa fascia d’età anche il tasso di Neet (ovvero quanti non studiano né lavorano) è il più alto d’Europa, del 30,9 percento a fronte di una media Ue del 17.1 percento. Come detto, la geografia delle regioni che danno il proprio “contributo” a tale esodo è omogenea: quasi un quinto dei giovani che hanno lasciato l’Italia negli ultimi dieci anni viene dalla Lombardia (18,3 percento). Troviamo poi Sicilia, Veneto e Lazio, con oltre 20.000 emigrati ciascuno. Questo dato comprende solo i giovani emigrati all’estero e non le migrazioni da Sud a Nord del Paese. Londra resta la meta più ambita dai nostri giovani (scelta dal 20,5 percento di chi è partito nel 2017 e dal 19,3 percento di chi è partito negli ultimi dieci anni). Poi c’è la Germania, e sono tanti anche quelli che scelgono di trasferirsi in Svizzera e Francia. Tra le prime destinazioni compaiono però anche Paesi non europei come Usa, Brasile o Australia, e anche Canada e Emirati Arabi.
Un altro aspetto preoccupante, emerge dal terzo rapporto che prenderemo in considerazione: tra gli oltre 120 mila figli del Belpaese fuggiti all’estero nell’ultimo anno ci sono soprattutto famiglie, coppie con figli piccoli e piccolissimi. Non è un caso se nel rapporto sugli italiani all’estero della Fondazione Migrantes proprio i minori rappresentano il 20,2% di chi si è registrato all’Anagrafe estera nel corso del 2018, ovvero quasi 26mila persone. E nemmeno se tra questi il 12,1% ha meno di 10 anni, il 5,6% ha tra i 10 e i 14 anni e solo il 2,5% tra i 15 e i 17 anni.
I numeri dicono, cioè, che se ne vanno preferibilmente le coppie più giovani, che hanno avuto un figlio da poco e che nella maggior parte dei casi non hanno fatto nemmeno tempo a sposarsi, o non hanno voluto. Segno evidente di come l’Italia, oltre a non far nulla per promuovere la natalità e la formazione di nuove famiglie, stia facendo di tutto anche per allontanare quelle appena nate. Un disastro immane, soprattutto se sommiamo ai dati degli espatri quelli demografici, che per l’anno in corso hanno evidenziato un ulteriore calo di 18mila nascite (appena 439mila i nati di quest’anno, il minimo storico dall’Unità d’Italia). Il grande male del Paese, prima della “fuga di cervelli”, è la “fuga di vite”.