Il Settembre caldo della guerra dei dazi, Trump e Xi devono prendere una decisione
Lo scontro tra Cina e USA rappresenta certamente la faglia geopolitica più calda degli ultimi 30 anni. Se Washington vede nel paese orientale una chiara minaccia all’egemonia americana e agisce di conseguenza,
Pechino risponde con i suoi tentativi di ritagliarsi uno spazio indipendente all’interno della grande globalizzazione americana, con progetti titanici come la Via della Seta o con gli immensi investimenti sul suolo africano. In particolare, nell’ultimo anno, quella tra Cina e America ha assunto i tratti di una guerra commerciale, con i dazi imposti dal presidente Trump alle esportazioni cinesi, che tra dichiarazioni politiche, mosse e contromosse, rappresentano uno dei conflitti più significativi del mondo di oggi.
Dopo le fortissime limitazioni imposte all’azienda cinese Huawei nei mesi scorsi, l’amministrazione Trump ha deciso di imporre nuove misure contro 125 miliardi di dollari di merci cinesi, entrate in vigore ad inizio
mese; la Cina dal canto suo ha reagito imponendo i dazi su 75 miliardi di dollari di beni importati dagli USA, concentrati nel settore agricolo ed energetico. L’incontro al G20 di Osaka a giugno, che era stato salutato
da molti come una distensione definitiva nei rapporti tra le due superpotenze, avrebbe portato dunque a un nulla di fatto. Pechino si è appellata all’Organizzazione mondiale del commercio, accusando gli USA di
aver violato l’accordo raggiunto proprio durante l’incontro giapponese tra Trump e Xi Jinping. Zippy Duvall, presidente dell’American Farm Bureau Federation, ha definito le misure di Pechino come uno dei colpi più duri al settore agricolo americano degli ultimi anni. L’agroalimentare è una fetta fondamentale dell’economia americana, nonché uno dei settori maggiormente sostenuti dall’amministrazione Trump, con lo stanziamento negli ultimi due anni di ben 28 miliardi di dollari. Il settore risulta ancora più importante alla luce delle elezioni americane del prossimo anno, se si considera che Stati a maggioranza rurale come Kentucky, Tennessee, North Carolina e West Virginia, rappresentano alcuni dei serbatoi più importanti dei voti del Tycoon. C’è da vedere quale sarà il responso del WTO all’appello cinese, ma una cosa è certa: lo scontro commerciale non giova a nessuna delle due parti in causa.
Se da una parte Xi non ha da temere eventuali rovesciamenti elettorali, i dazi potrebbero rappresentare un vero cappio alla gola per un paese esportatore come la Cina. La palla, al momento, è in mano all’amministrazione americana, che deve soppesare le sue mosse e scegliere la sua strategia alla luce delle elezioni 2020. Se da una parte il “miracolo Trump” in campo finanziario potrebbe essere messo in crisi dalle contromosse di Pechino, il presidente potrebbe sfruttare ancora la collaudata tattica di compattare il paese contro un nemico esterno che minaccia di opprimerlo. L’unica sicurezza al momento è che le decisioni vanno prese entro una forchetta temporale molto breve e non è escluso che per fine di questo anno possa essere chiaro se Trump sarà ricordato come il presidente della storica distensione oppure come il prosecutore della politica antisinica degli anni passati.