Medici dimezzati e no
Se la malattia è la miseria massima, la massima miseria della malattia è la solitudine
John Donne
Ci sono situazioni che ci costringono a sperimentare delle forme di impotenza, di dipendenza totale, di concentrazione del potere. Una di queste è la relazione medico –paziente. Essere diagnosticati è una esperienza terribile e ripeto, ti costringe alla totale dipendenza da chi ti diagnostica, come se lui potesse cambiarla se volesse. Il paziente è il cliente del medico e il medico è un professionista al suo servizio. Dovrebbe essere così e spesso è così, ma non sempre. Il professionista non è tale perché fa delle cose tecnicamente impeccabili, ma lo è quando accompagna il paziente cliente sino ad una piena utilizzazione della terapia che consente il risultato sperato. Il professionista ottiene risultati e molto spesso i risultati dipendono da quello che il professionista mette in comune con il paziente cliente. Ho conosciuto una galleria diversificata di medici rispetto alla relazione comunicativa con il cliente. Credo che la consapevolezza delle componenti psicologiche nel processo terapeutico sia sullo sfondo di quello che è ritenuto importante e che la capacità di comunicare sia rara in campo medico (ovviamente non solo). Insomma ci sono medici ombra, che appaiono e scompaiono e che mi sembrano dimezzati in quanto in loro è assente la loro presenza come, oserei dire,” il farmaco che rende più consistenti i farmaci”.
Ho conosciuto una galleria di medici che, usando il metodo di Eric Berne, provo a definire come se avessero una maglietta con scritto:
- sono autorevole, cerca di capirlo
- sono l’unico che qui sa come stanno le cose
- sono scientifico e obiettivo
- devi fidarti di me
- sono simpatico, questo lo vedi
- non farmi troppe domande
- non farmi perdere tempo
- fai quello che dico e non discutere
- non c’è bisogno che tu capisca
- ti curo ma non sei la cosa più importante
Ma poi c’è anche il medico non dimezzato che si ferma, ti spiega e ti guarda negli occhi per trovare la complementarietà. John Donne parla della sintonizzazione empatica come primo passo verso la cura, formidabile questo passaggio di seguito. “Osservo il medico con la stessa diligenza con cui lui la malattia; vedo che ha paura, e ho paura con lui, lo sorpasso, lo supero nella sua paura, vado tanto più veloce perché rallenta il passo; ho tanta più paura perché nasconde la sua paura, e la vedo con tanta più chiarezza, perché non vorrebbe che la vedessi. Egli sa che la sua paura non turberà la pratica e l’esercizio della sua arte, ma sa che la mia paura può turbare l’effetto e l’operazione della sua pratica”.
Un medico non dimezzato sa che la sua pratica è fatta di racconti, che quello che unisce le persone sempre è la condivisione che è una visione creata da narrazioni intrecciate. Un medico non dimezzato fa parte integrante della cura perché si prende cura sentendosi impegnato completamente e lo esprime con la presenza, una presenza che comunica e crea una narrazione dove il paziente non è annichilito dalla paura (tanto maggiore quanto più cieca) ma è il coprotagonista del progetto comune che è il risultato da ottenere insieme.