Ologramma e apprendimento ologrammatico
Un ologramma è una sorprendente immagine tridimensionale creata con l’uso del laser. Con questa tecnica sono combinate molte prospettive diverse di un’immagine. Così è la “realtà”, così dovrebbe essere l’apprendimento della/ nella complessità. Quando si vede un ologramma, si vedono tutte le prospettive nello stesso momento. E’ come guardare da una finestra: ovunque si guardi si vede cosa c’è dall’altra parte. Immaginiamoci un tema o un episodio per esempio quello della leadership o la vicenda di un litigio fra coppie, immaginiamo un palazzo a più piani (che chiameremo leadership o litigio) con una serie di finestre tutte pitturate di nero. Se si sale al primo piano, si può grattar via un po’ di vernice da una finestra e guardare fuori.
Si vedono alcune cose, se si gratta da altre parti, se ne vedono anche altre oltre o diversamente da quelle che si vedevano prima. E così via. La realtà muta, in alcuni casi se guardi altrove, si vede proprio altro. Se si sale di un piano e si compie lo stesso procedimento, se ne vedranno altre ancora. Ogni spazio di visuale darà una prospettiva. Ciascun pezzo di un ologramma immagazzina informazioni su tutta l’immagine ma dal suo angolo d’osservazione. Nessuna coppia di “pezzi” potrà dare un’osservazione identica. Ognuno, se chi compie l’operazione dello scrostamento della vernice sono più persone, potrà avere visioni personali e diverse ma anche comuni se si allargano gli spazi comuni. Ogni nuova apertura aumenta l’apprendimento, non cancella il precedente ma lo reinterpreta, lo modifica, lo allarga. Gli “esperti” sono coloro che diventano abili nel proprio spazio “grattato” e cercano di vedere il più possibile dalla loro prospettiva avendo anche intuizioni accuratamente preparate. Se anziché di nero le finestre sono di più colori, allora ci possono essere gli esperti del colore ma anche dell’arcobaleno: ossia di chi conosce più colori, quelli della complessità. Un arcobaleno è come un’arpa, solo che le sue corde sono di luce. Le onde della luce, visibili, più grandi sono di colore rosso, poi c’è l’arancione, dopo il giallo, quelle ancora più piccole sono verdi quindi il blu e infine le più piccole di tutte sono viola. Se paragoniamo l’impresa, (o un sistema socio tecnico qualsiasi o una città, una nazione) a un arcobaleno, servono vari esperti di colore, ma anche esperti trasversali: esperti d’arcobaleno, capaci di capire la “lingua” del rosso, del giallo, del viola, ecc. Quelli più bravi vanno oltre. Riescono a muoversi e capitalizzare l’invisibile, l’intangibile. Le onde più piccole si chiamano ultraviolette, sono invisibili ma ci sono. Poi ci sono le infrarosse, le più grandi, invisibili, ma ci sono. Se occorre far una musica con l’arpa colorata occorre avere tutti i colori e anche essere esperti dell’assenza, dare valore a ciò che c’è ma rendere anche salienti le mancanze, far dialogare segni antagonistici, collegare lontananze, sviluppare logiche di vento. Il pensatore olistico impara cose e utilizza un “metodo” diverso dal pensatore lineare. E quindi il suo “stile” nell’impresa è probabilmente, spesso scomodo, è divergente e questa divergenza può essere considerata, come trasgressiva e disturbante. Ci sono due livelli di apprendimento organizzativo: il primo è quello necessario per potersi integrare nei processi; (che però si può andare verso l’adeguamento passivo e a volte la riproduzione acritica di modelli); il secondo apprendimento è selettivo richiede di imparare come condizione per poi capire cosa occorre disimparare. E’possibile un apprendimento innovativo indipendentemente da un apprendimento convenzionale? Ossia si può imparare il “nuovo” senza che il vecchio “chieda” al nuovo di ucciderlo? Qui c’è un grande paradosso: il “vecchio” chiede di aderire alle sue logiche affinché le “possa cambiare”: chiede e vieta contemporaneamente ciò che è “nuovo”. La seconda considerazione è legata a uno dei valori delle imprese moderne: la finalizzazione degli sforzi. La cultura del valore chiede che ci sia valore aggiunto derivante dagli investimenti. Ciò che è “vecchio”, quando è stato pensato bene, lo prevede, ma il pensatore innovativo deve procedere per tentativi ed errori: l’errore è aspetto tipico del modo di apprendere. L’errore è un costo, che non produce valore, mentre lo è il probabilistico, processo. Come si conciliano nella prassi questi due aspetti? Ovvero l’economicità degli investimenti, la loro diretta finalizzazione e lo sciupio della ricerca che contiene errori? Le imprese chiedono innovazione perché sanno che questa è la strada per il successo ma poi la vietano perché non sanno, spesso, ragionare e agire in termini complessi. Le organizzazioni spesso vogliono soggetti motivati, capaci di guardare al futuro, orientati alle sfide, capaci di, appunto, innovare, ma poi premiano chi è rispettoso delle regole, segue gli ordini, non fa casino segue lo status quo del potere che chiede comportamenti che lo confermino e premia questi. Quando, contemporaneamente, si chiedono adeguamento e innovazione, il gioco è difficile. Lo è di più quando il committente non ha consapevolezza di quest’ambivalenza. Io credo che si debbano considerare alcuni aspetti fondamentali per sviluppare processi olistici. Uno è quello della vera capacità di operare cambiamenti lottando contro chi ha potere e inventa soluzioni che siano comode per lui spacciandole come eque e logiche per tutti. Il secondo aspetto è la leggerezza e la possibilità di scoprire mentre si fa. Quindi ritorno al tema della formazione e dell’apprendimento. La formazione generativa contro l’imponenza che causa impotenza di una formazione che inchioda regole e concetti indiscutibili e in cui il programma diventa la faccia burocratica della situazione didattica. Un altro punto è quello dello sviluppo delle responsabilità del soggetto di collegare le parti (interne ed esterne) nei vari sottosistemi e di svolgere sia un’azione connettiva sia pragmatica. Un altro punto ancora è quello della capacità di creare culture che non solo accettino, ma favoriscano un dialogo complesso tra l’orientamento alla finalità e al valore e quello alla casualità e allo sciupio di percorso. L’innovatore deve avere la possibilità di desiderare e far sì che la sua mente e il suo pensiero siano liberi, deve avere la possibilità di giocare e di sbagliare sapendo che questo non è punito. Incoraggiate chi si trova agli angoli delle strade, chi non urla, chi è in minoranza. Forse la qualità della vita possibile si nasconde, anche involontariamente, nell’eresia.