I dazi di Trump allarmano l’Europa sulla soglia della crisi economica
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La minaccia di Trump di colpire con forti dazi le importazioni dai paesi esteri ha iniziato a prendere corpo con le misure che hanno toccato prima il Messico, che ha ottenuto però la sospensione per un mese dei dazi in cambio del presidio della frontiera da parte di 10mila militari per impedire il passaggio di migranti, poi il Canada, che ha orgogliosamente risposto con dazi uguali e contrari sulle importazioni dal vicino americano. Mentre la risposta cinese sembra attestarsi sulla ricerca di una diplomatica soluzione di mediazione. Gli effetti di queste restrizioni si sono manifestati subito con un apprezzamento del dollaro e un simmetrico calo delle criptovalute e delle borse mondiali, compresa quella di Wall street.
Intanto, gli europei, che ragionevolmente si aspettano di essere i prossimi bersagli di Trump, si sono riuniti nel sinedrio del Consiglio europeo e hanno mostrato una unità non proprio granitica. Se il nucleo franco-tedesco è rimasto fermo sull’idea che a Trump bisogna rispondere in modo unitario attrezzando contromisure sulle importazioni americane, distinguo sono arrivati dall’ungherese Orbàn e dal polacco Tusk, oltre che da Giorgia Meloni. Secondo la premier italiana con Trump bisogna trattare e non mettere in campo uno scontro che all’Europa non converrebbe.
Non è chiaro al momento quale possa essere il punto di caduta. La previsione più probabile è in effetti che Trump usi i dazi come esca per attirare gli europei ad accordi separati paese per paese demolendo di fatto il minimo di unione economica della UE. Lo stress-test per l’Europa rischia di essere proibitivo. Anche perché sul piatto potrebbero finire le spese militari per cui Trump è deciso a ottenere un rapido e decisivo aumento, se non alla percentuale monstre del 5% almeno a un corposo 3%. Ma si tratta di un impegno che cadrebbe come un macigno sui paesi europei stretti tra il vincolo della legge di stabilità e un’economia arrancante. In questo quadro critico, l’aumento delle spese militari sarebbe finanziabile solo attraverso feroci tagli al welfare: verrebbe insomma seppellito senza riguardi il modello sociale europeo.
Solo per quello che riguarda l’Italia, la Svimez ha ipotizzato uno scenario con dazi al 10%, al 20% e intermedi nei settori più esposti dell’export italiano verso gli Usa: agrifood, automotive, farmaceutica. In caso di dazi in misura intermedia si avrebbe una diminuzione del 16,4% per l’agrifood, del 13,6% per l’automotive e del 10% nel settore farmaceutico. Le ricadute sull’occupazione sono stimate intorno ai 50mila posti a rischio. Dati analoghi sono sotto gli occhi di tutti i leader europei e a tutti fanno tremare le vene ai polsi. Anche perché tutti i capi di governo della Ue, quale che sia il loro colore politico, salvo i pochi che per orientamento hanno già deciso, saranno posti davanti alla scelta di privilegiare l’unità europea o gli interessi immediati del proprio paese. Non avendo ben chiaro rischi e vantaggi a lungo termine, la preoccupazione in Europa è dunque alta. E’ proprio su questo che conta Trump per imporre la sua volontà agli europei da sempre visti da lui come concorrenti di cui avere ragione una volta per tutte.