Meloni e Giorgetti riaprono la merchant bank di palazzo Chigi
Meloni e Giorgetti riaprono la merchant bank di palazzo Chigi
Ai tempi della prime privatizzazioni del centrosinistra, in particolare delle grandi partecipate pubbliche come la Telecom, Giulio Tremonti parlò di una merchant bank apertasi assai impropriamente a palazzo Chigi. Con gli ultimi sommovimenti nel mondo bancario italiano possiamo dire che quell’antica freddura è tornata d’attualità. Cosa succede? Mentre l’attenzione è stata rivolta nelle ultime settimane ai posizionamenti di un modo bancario in fermento che ha visto prima Unicredit provare a scalare la tedesca Commerzbank e quindi attaccare e il Banco Bpm, appena reduce dall’acquisizione della società finanziaria Anima, ben altro si muoveva. In modo del tutto inatteso – ma in realtà l’operazione è stata preparata per mesi- il Monte paschi di Siena ha avanzato un’offerta pubblica di scambio al 100% verso Mediobanca. L’antica banca senese, salvata dallo Stato, che ha poi per i vincoli europei progressivamente ridotto la sua partecipazione azionaria fino all’11%, ha visto quindi entrare nella compagine azionisti di peso come Francesco Gaetano Caltagirone e il gruppo Delfin della famiglia Del Vecchio. I quali, va ricordato, partecipano anche Mediobanca rispettivamente con il 19,8 e il 5,5%. Proprio questi protagonisti del mondo finanziario e bancario italiano consentono di spiegare le ragioni di mossa. Occorre dire, infatti, che Caltagirone e Delfin sono titolari del 25% di azioni di Mediobanca. Ma il vero terreno di conquista è in realtà Generali. Non è casuale che l’operazione di Mps verso Mediobanca prenda forma a ridosso dell’annuncio dell’accordo della società del leone con Natixis, società francese di raccolta investimenti, per creare un soggetto dell’asset management dal valore di due miliardi di euro. Questa è un’operazione che Caltagirone e Delfin, soci di Generali rispettivamente al 9,9% e al 6,9%, vedono come fumo negli occhi. L’assalto a Generali di Caltagirone, da sempre nei suoi obiettivi, non sarebbe più pensabile di fronte a un accordo questa portata. Mediobanca diventa dunque il cavallo di Troia per arrivare al controllo della società assicurativa.
Il terzo protagonista del risiko è però il governo. Il ministro Giorgetti, con la totale copertura della premier, persegue l’obiettivo di costituire un terzo polo bancario nazionale. Fallita l’ipotesi di fusione tra Mps e Bpm, l’attacco a Mediobanca – che tra l’altro comporterebbe il delisting di quest’ultima dalla Borsa di Piazza affari- porterebbe, negli schemi del governo, attraverso il successivo controllo di Generali a costituire un asset bancario e assicurativo dalla sufficiente massa critica da poter diventare il campione nazionale del risparmio.
Per quanto improntato a fantasie passatiste e a un nazionalismo bancario fuori corso, questo sembra essere l’obiettivo. Tuttavia Mediobanca nella persona dell’Ad Alberto Nagel non sembra disponibile ad arrendersi all’operazione e si prepara a difendersi. Nemmeno il mercato sembra aver premiato l’operazione che ha prodotto un +3% per Mediobanca e un -9% per Mps. D’altronde si parla di una banca che ingloberebbe un’altra più grande del 50% con un premio di appena il 5%. Il successo insomma è tutt’altro che scontato. Caltagirone e Delfin possono contare sul 25% delle azioni, il restante 25% o lo mette il Tesoro, ma qui l’ostacolo della Commissione europea appare quasi insormontabile, oppure una cordata a sostegno, salvo che nessun socio di minoranza di Mediobanca pare voler accodarsi al duo Caltagirone-Delfin.
Le difficoltà dell’operazione sembrano dunque commisurate agli obiettivi dell’alleanza politica finanziaria che la sottendono. Da un lato l’interesse del governo a creare un grande polo bancario con una partecipazione pubblica in grado di contare su 130 miliardi di impieghi e 300 di risparmi e soprattutto sui flussi di cassa di Generali, come ha dichiarato lo stesso amministratore delegato di Mps Giuseppe Lovaglio; dall’altro il controllo di Generali passando dalla presa di Mediobanca. Insomma dopo aver minacciato la golden power per bloccare la presa di Bpm da parte di Unicredit, il governo sembra aver travato una strategia non si sa quanto azzardata e quanto vincente per creare un campione bancario radicato nell’economia del Nord, magari per poterne indirizzare “politicamente” i flussi. Il condominio d’interessi con l’alleato Caltagirone – e suoi giornali – e la Delfin che a mettere le mani su Generali ci provano da tempo sembra di solare evidenza. Un’alleanze che però sta generando non poche e non deboli resistenze. Che il governo possa arrivare infine a dire “abbiamo una banca” appare insomma tutt’altro che scontato.
Raffaele Cimmino