La presidenza Trump e i suoi rischi
Tutti i rischi della Trumpnomics
Non ha fatto in tempo a prestare il giuramento sulla bibbia, secondo la tradizione, che già un Donald Trump assurto alla sua seconda presidenza si è fatto riprendere mentre firmava i suo i primi ordini esecutivi. Provvedimenti che hanno tradotto in realtà quelli che sono stati i suoi slogan elettorali. Sarebbe inutile cercare un filo conduttore in questa prima inusuale attività del capo dell’esecutivo, quale un presidente statunitense eletto in effetti è. Si va dall’ordine di deportazione dei migranti non in regola, alla cancellazione dello ius soli per loro i figli – disposizione sicuramente incostituzionale e comunque un vulnus per la storia intera degli Stati uniti – al licenziamento in tronco per gli ispettori generali di oltre dieci dipartimenti federali. Ha inoltre graziato oltre 1000 detenuti legati all’assedio a Capitol hill; si è ritirato dall’Organizzazione mondiale della sanità e dall’accordo sul clima di Parigi. È perfino arrivato al punto di definire “per decreto” che i generi sono due. Insomma non si è fatto mancare niente. Però non c’è dubbio che le decisioni più attese perché più impattanti sul resto del mondo siano connesse alla Trumpnomics, cioè alle idee e al programma economico di Trump.
Il magnate newyorkese ha avuto ampio modo di chiarire che il “Make America great again” consiste nel ritrovare quel primato economico che secondo lui è stata compromesso dalla presidenza di Biden. La ricetta sono pesanti dazi per le merci europee e cinesi. Le ragioni sono state chiaramente esposte a Davos di fronte agli sbigottiti leader europei. Trump le ha riassunte in un aggettivo ripetuto più volte “unfair”(ingiusto). La presunta ingiustizia sarebbe tutta a danno degli Usa. La ragione sarebbe lo squilibrio della bilancia commerciale con la Cina ma anche con l’Europa. Qui c’è da dire che in realtà è vero che gli Stati uniti esportano merci in misura minore di quanto faccia l’Europa (nel 2022 le esportazioni Usa verso il vecchio continente ammontavano al valore di 592 miliardi di dollari, mentre l’import è stato di 723,3 miliardi). Tuttavia questo calcolo non considera i servizi che vedono ribaltato l’equilibrio: l’export americano vale 402 miliardi contro i 293 miliardi del flusso europeo verso gli Usa.
Il problema europeo è che questa impostazione prevede una riorganizzazione dei flussi commerciali, tra l’altro incoraggiando le imprese europee e stabilire sedi negli Usa; ma Trump non prevede affatto di trattare con la Ue nella sua interezza ma con gli stati europei presi a uno a uno. Cosa possa voler dire per gli insicuri europei frustrati dalla stentata crescita e in preda alle convulsioni di una crisi politica senza precedenti è abbastanza prevedibile. Mai infatti sono stati tanto a rischio tanto l’asse franco-tedesco, vero nucleo della UE, quanto la storica partnership politica tra popolari e socialisti, questo da quando il capogruppo popolare Weber, con il silenzioso assenso della Von dee Leyen, ha aperto neanche tanto velatamente alla collaborazione con le destre nazionaliste storicamente antieuropeiste che oggi vedono in Trump un punto di riferimento.
Insomma, le insidie per l’Europa con la presidenza Trump saranno tante. Tuttavia i rischi più grandi sono paradossalmente proprio per quell’America che si vorrebbe rifare grande. Il primo riguarda paradossalmente la causa principale della sconfitta di Biden. Il quale ha pagato cara l’alta inflazione che ha eroso gli stipendi e che ha vanificato nella percezione comune gli effetti positivi di un’economia in forte ripresa come quella del quadriennio in cui i democratici hanno controllato la Casa bianca.
Si annida qui il pericolo per Trump: la caccia ai migranti non in regola che in gran parte sono impiegati nei servizi e anzi ne costituiscono l’ossatura, da un lato, e dall’altro i dazi sulle importazioni che si scaricherebbero sui consumi possono produrre una forte fiammata inflazionistica. Si aggiunga che il governatore del Federal reserve, Jerome Powell, sembra tutt’altro che ben disposto a rendere la vita facile alla linea economica assai poco ortodossa di Trump. Il nuovo corso trumpiano rende però la vita difficile soprattutto ai paesi europei la cui crescita economica stentata non viene aiutate dalle politiche procicliche implementate dal nuovo patto di stabilità. Non per ultimo Trump ha chiesto agli alleati Nato, quindi ancora ai paese europei, di implementare le spese per gli armamenti fino all’iperbolica percentuale del 5%. Si capisce allora che si aprono davvero anni complicati per l’Europa e non basteranno le visite estemporanee a Washington a risolvere i problemi sul tappeto.
Raffaele Cimmino