La sanità pubblica a un passo dall’abisso
Continuano a moltiplicarsi gli allarmi per la situazione in cui versa la sanità pubblica italiana. Non sono servite le rassicurazioni del governo che annunciano un finanziamento come mai avvenuto prima. Risultano, secondo lavoce.info, 2,8 miliardi di nuove risorse, ma distribuite in tre anni. Il totale del finanziamento del sistema sanitario si attesterebbe così a 137,7 miliardi di euro, equivalente a poco di più del 6% del pil nominale. Le nude cifre dicono che a stento si riuscirà a compensare l’inflazione e che la spesa netta è in diminuzione. Dal 2010 il fabbisogno del sistema sanitario aumenta in media di due miliardi l’anno, ma viene costantemente fatto oggetto di tagli. Come scritto in una lettera al Ministro della Sanità, Schillaci, dalla commissione salute della Conferenza delle regioni, la sanità pubblica italiana è pesantemente sottofinanziata e l’aumento previsto per il 2024 è quasi interamente assorbito dal rinnovo contrattuale del personale del comparto, mentre si aumenta il finanziamento del privato convenzionato senza investire nella possibilità di assunzioni in un settore con forte carenza di personale.
Che la spesa sanitaria italiana sia sotto la media UE lo ricorda anche l’Ocse. In realtà, tra il 2019 e il 2021 si è assistito, a causa dell’emergenza Covid, a un aumento della spesa pro capite del 9,3% in termini reali, ma già dal 2022 si è avuta una normalizzazione con un calo del 3,2%. Del tutto insufficiente il numero degli infermieri, al disotto della media UE: 6,5 ogni mille abitanti in Italia contro l’8,4 della media europea. Mentre per i medici siamo al 4,2 ogni mille abitanti, superiore al 3,9 della media europea; ma il numero dei medici appare in forte e costante diminuzione. Complessivamente, si calcola che in Italia vi sia una carenza di ben 1,2 milioni di operatori sanitari. E il dato è tanto più preoccupante se si considera l’età media elevata e la prossimità alla pensione di una parte rilevante della platea oltre la carenza d’organico in ambiti come la medicina di base e quella d’urgenza.
Non a caso la spesa cosiddetta out of pocket, ossia la spesa privata per le cure mediche, negli anni del Covid 2021-2022 è aumentata dell’1,6%, ma già nel 2023 è arrivata al 10,3% in più. Se dal report dell’Ocse emergono chiaramente i limiti del sistema sanitario italiano, una conferma ulteriore arriva dall’ultimo rapporto della Fondazione Gimbe, che evidenzia il sottofinanziamento e la mancata riorganizzazione del personale sanitario: tra il 2019 e il 2022 il Sistema sanitario nazionale ha perso ben 11.000 medici per licenziamenti o fine di contratti a tempo determinato. Calano anche le iscrizioni ai corsi di laurea, denotando la perdita di attrattività della carriera medica.
Gli effetti di questa situazione non possono che essere devastanti, come si evince dal mancato rispetto dei Livelli essenziali di assistenza (Lea). La situazione in questo senso è particolarmente grave al Sud, dove solo Basilicata e Puglia rispettano i Lea, collocandosi comunque agli ultimi posti. Anche nella sanità si dimostra esistere una grave frattura tra Nord e Sud del Paese. Non a caso aumentano i casi di migrazione sanitaria di cittadini meridionali verso le strutture mediche del Nord. Un dato ormai strutturale, che costa ai sistemi regionali del Mezzogiorno oltre 10 miliardi annui di passività e un carico di spese proibitivo per le famiglie.
Se il Pnrr poteva essere la grande occasione per una riforma strutturale del sistema sanitario e ovviare alle sue contraddizioni, i dati parziali a disposizione dimostrano che si corre il serio rischio di sprecarla. Infatti, al 30 giugno di quest’anno, l’Agenas ha documentato che sono state attivate dalle regioni solo 268 case di comunità sulle 1.421 previste (il 19%). Al 31 luglio sono stati realizzati solo il 52% previsti dei posti di terapia intensiva e il 50% di terapia subintensiva, con un chiaro squilibrio tra le varie regioni. Per usare le parole del presidente del Gimbe, Caltabellotta, la missione Salute del Pnrr che riguarda la sanità pubblica, oltre a subire i ritardi complessivi dell’attuazione del Piano, “rischia essere un’occasione perduta se non integrata da un piano generale di rafforzamento della sanità pubblica”.
In questo senso il Gimbe propone un patto politico e istituzionale con tredici proposte, che, superando le divisioni e riconoscendo nel Sistema sanitario nazionale un pilastro della nostra democrazia, un motore di sviluppo economico e un fattore essenziale di coesione sociale, lo rafforzino e rilancino. Vedremo chi si mette all’ascolto delle proposte della Fondazione.