Forse nessuno era in grado di prevedere che l’ops (offerta pubblica di scambio) di Unicredit su Bpm avrebbe prodotto un effetto domino di cui ancora non si vede la fine e che sta terremoterando il panorama bancario italiano. Tutti i più grandi players nazionali risultano in un modo o nell’altro coinvolti e non è mancato l’intervento a gamba tesa del governo, che ha azionato il golden power sulla ops di Unicredit. Ma ricapitoliamo brevemente le tappe degli eventi. L’attivismo di Andrea Orcel, ad di Unicredit, dopo l’assalto alla tedesca Commerzbank, che non pochi mal di pancia ha prodotto negli ambienti politici tedeschi, si è rivolto a obiettivi italiani. Da qui l’ops a Bpm, diretta da Giuseppe Castagna. L’ad napoletano è però reduce del successo della conquista del gruppo di risparmio gestito Anima, ora in pancia alla banca milanese, e non è per niente disposto ad arrendersi alla scalata, disponendo peraltro anche di preziosi alleati.
L’attacco di Orcel a Bpm va infatti a ostacolare il progetto di grande banca territoriale del Nord, a cui lavorava da tempo il governo, attraverso le sinergie con il Monte dei Paschi, appena uscito dalla nazionalizzazione e in cui sono entrati con quote maggioritarie sia Francesco Gaetano Caltagirone che il Gruppo Delfin dei Del Vecchio. Per queste ragioni l’operazione di Orcel è assai malvista dal governo, e il ministro Giorgetti non ha mancato di dirlo senza mezzi termini.
Nel frattempo, in una evidente e coordinata comunione di intenti tesa a sbarrare la strada a Orcel, Monte dei Paschi ha lanciato una ops su Mediobanca, puntando indirettamente a un altro storico obiettivo di Caltagirone, le Generali. L’assalto a Mediobanca, tramite una ops sul 100% del capitale, ha visto tuttavia chiudersi a difesa il consiglio di amministrazione di piazzetta Cuccia. Ritenendo l’offerta non concordata, ostile e distruttiva di valore per l’azienda oltreché foriera di potenziali danni per gli azionisti e l’impatto negativo sul profilo reddituale, Mediobanca l’ha respinta senza colpo ferire.
Nel frattempo UniCredit ha sì ricevuto l’approvazione del Consiglio dei ministri all’ops su Bpm lanciata a fine novembre, ma subendo il colpo dell’attivazione dei poteri speciali previsti dal golden power. All’istituto di piazza Gae Aulenti si impone tra l’altro di non ridurre gli investimenti di Anima in titoli italiani e la cessazione di tutte le attività in Russia entro nove mesi. Le forti riserve espresse sull’esercizio del golden power possono portare anche a ricorsi legali, anche perché la stessa opzione non è stata applicata a operazioni simili simultaneamente in corso, come quella tra Mps e Mediobanca. Ma non è tutto. Gli sviluppi ulteriori in corso dimostrano che la vicenda Mps-Mediobanca è fortemente intrecciata con la vicenda Generali. Non è un mistero, infatti, che da sempre Francesco Gaetano Caltagirone abbia nel mirino Generali e il suo ad, Philippe Donnet. Ancora più nell’occhio del ciclone Generali lo è entrata dopo la prospettata joint venture con la società di asset management francese Natixis. Il nuovo gruppo avrebbe la disponibilità di circa 1900 miliardi di euro di asset in gestione, per due terzi in pancia a Natixis. Proprio questa prospettiva ha allarmato il governo, che non vede di buon occhio che una banca francese gestisca un pezzo rilevante di debito pubblico nazionale. Quindi si è tentato di mettere il bastone tra le ruote all’operazione. Tentativo che è fallito in occasione del rinnovo del consiglio d’amministrazione di Generali. La lista di Mediobanca, prima azionista con il 13,04%, ha ottenuto, infatti, oltre la metà dei voti dei presenti, pari al 36,02% del capitale sociale, confermando l’ad Donnet e il presidente Andrea Sironi. Caltagirone, alleato alla Delfin dei Del Vecchio, elegge in cda gli stessi tre consiglieri che aveva. Insomma, la vittoria di Mediobanca è indubitabile. La novità è che Orcel ha orientato il suo pacchetto di voti in Mediobanca sulla cordata di Caltagirone, nell’evidente intento di compiacere un governo palesemente ostile all’operazione su Bpm.
Ma non finisce qui. L’ultima notizia riguarda infatti l’offerta pubblica di scambio di Mediobanca sul 100% di Banca Generali, offrendo la propria partecipazione nel gruppo assicurativo triestino in cambio della controllata. L’operazione comporterebbe per Mediobanca la cessione della partecipazione in Generali e il simultaneo investimento in Banca Generali per 6,3 miliardi. L’obiettivo, secondo quanto dichiarato da piazzetta Cuccia, è dare vita a un nuovo leader nel wealth management con attivi in gestione per 210 miliardi, ricavi per 2 miliardi e capacità di crescita per oltre 15 miliardi annui.
Insomma, la creatura di Enrico Cuccia non solo si difende dagli assalti ma attacca in contropiede e prova a costruire la nuova architettura degli assetti bancari nazionali riacquistando una centralità perduta da tempo. Non resta che aspettare gli eventi, innanzitutto la reazione del governo che vedrebbe andare all’aria i suoi piani di un grande polo bancario del Nord – progetto caro, lo ricordiamo, soprattutto alla Lega – e guardarne gli effetti.